Sahel in ebollizione
Tutti concordano sul fatto che in questa regione si è tornati ai colpi di Stato, che si pensava appartenessero al passato dopo l’affermarsi delle democrazie parlamentari.
I leader militari del Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) stanno discutendo un possibile intervento militare in Niger. L’autoproclamatosi presidente nigerino, il generale Abdourahmane Tchiani, in precedenza capo della guardia presidenziale, ha nominato un gabinetto di 21 membri, in segno di sfida alla minaccia dell’intervento militare dell’Ecowas.
Il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione Africana (Ua) ha espresso la sua opposizione all’opzione militare. Diversi Paesi e leader religiosi chiedono una risoluzione pacifica con mezzi diplomatici che prevedano negoziati, ascolto, riconciliazione e consenso.
La popolazione del Niger è per il 98% musulmana, una composizione simile a quella della vicina Nigeria settentrionale. I colloqui tra la giunta militare e i leader musulmani della Nigeria potrebbero essere la chiave per il successo dei negoziati. Una delegazione di leader religiosi musulmani guidata dallo sceicco Abdullahi Bala Lau, del movimento salafita Izala in Nigeria, ha incontrato il generale Tchiani e il primo ministro, nominato dalla giunta, Ali Maham Lamine Zeine.
Cosa ha portato al colpo di Stato in Niger?
I militari golpisti hanno dichiarato che perseguiranno il presidente deposto, Mohamed Bazoum, per alto tradimento e per aver minato la sicurezza nazionale. Bazoum è accusato di essere un fantoccio degli interessi francesi, motivazione usata per legittimare la sua rimozione dal potere, e i 5 accordi militari con la Francia sono stati revocati.
Negli ultimi anni, nonostante costosi accordi militari, notevoli finanziamenti e l’invio di truppe, la risposta internazionale guidata dalla Francia alle insurrezioni islamiste nel Sahel non è riuscita ad assicurare ai governi dell’Africa occidentale il controllo dei loro territori.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la recente proliferazione di colpi di stato nei Paesi francofoni del Sahel è stata favorita anche da livelli di insicurezza “senza precedenti”, con “gruppi armati, estremisti violenti e reti criminali” che hanno minato la fiducia della popolazione nei governi civili. A sua volta, la crescente rabbia e frustrazione popolare ha incoraggiato i leader militari a credere che un colpo di stato sarebbe stato ben accolto dai cittadini.
La situazione sta scatenando molti dibattiti. Da un lato, c’è chi guarda ai dati storici che forniscono un certo sostegno a queste rimostranze. Il dibattito più acceso, nell’intero continente, è quello relativo alle relazioni inacidite tra la Francia e le ex colonie. Gruppi della società civile, in Niger e altrove, hanno invitato la nazione a mobilitarsi e lottare per la libertà del Paese, respingendo le interferenze straniere.
I vecchi demoni degli “accordi segreti coloniali” si stanno risvegliando. Gli undici accordi tra le ex colonie francesi e la Francia, anche se poco noti al grande pubblico, sono stati firmati alla vigilia dell’indipendenza, ed hanno permesso alla Francia di continuare a controllare le ex colonie in molti settori, in ambito militare, politico e, soprattutto, economico. I più discussi sono: il diritto di prelazione su qualsiasi risorsa grezza o naturale scoperta nel Paese; la confisca automatica delle riserve finanziarie nazionali in alcuni casi; Il diritto esclusivo francese di fornire equipaggiamenti militari e di addestrare gli ufficiali.
«È finita un’epoca, quella in cui la Francia si poneva come gendarme anti-jihadista di una regione cinque volte più grande del suo territorio», ha scritto il quotidiano francese di destra Challenges in un editoriale in cui si chiede a Parigi di ripensare seriamente la strategia in Africa.
Il declino dell’influenza e dell’immagine della Francia si estende ben oltre il Sahel, in democrazie come il Senegal e la Costa d’Avorio, dove le relazioni ufficiali sono buone, ma le opinioni antifrancesi nelle strade sono molto diffuse.
Storia in divenire o storia che si ripete?
Altri, invece, privilegiano l’aspetto geopolitico delle rivolte. Mamadou Diallo, analista politico del Burkina Faso vede la situazione del Sahel nel contesto della «battaglia geopolitica delle guerre per procura tra la Russia di Putin e l’Occidente imperialista, tutti impegnati nella dinamica neoliberista».
Al recente vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, i leader del Burkina Faso e del Mali hanno dichiarato il loro sostegno al presidente Vladimir Putin e all’invasione dell’Ucraina.
Leonard Mbulle-Nziege, analista sudafricano della Bbc, così commenta la situazione: «Come in passato, i beneficiari di queste alleanze globali saranno probabilmente le élite politiche piuttosto che i cittadini comuni. Ci sono già notizie che a maggio le truppe del gruppo Wagner, allora in alleanza con il governo di Putin, sono state responsabili della tortura e del massacro di centinaia di civili in Mali nell’ambito di operazioni anti-insurrezionali».
E Diallo conclude così la sua analisi: «A guardare da vicino la situazione, segnata da un lato dalla chiamata in piazza e dallo sfruttamento del sentimento antifrancese da parte della fazione momentaneamente vittoriosa all’interno, e dall’altro dall’atteggiamento delle varie componenti delle forze più impegnate nella lotta contro i jihadisti, appare chiaro che altre crisi e rischi di fratture si profilano all’orizzonte in caso di sviluppi negativi della situazione della sicurezza».
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