Sahara occidentale: tensioni dopo 29 anni di tregua
La mattina del 13 novembre scorso, il cessate il fuoco raggiunto con l’accordo di pace tra Marocco e Fronte Polisario (Fronte per la Liberazione del Sahara occidentale), in vigore dal 1991, è stato violato: truppe del Marocco sono intervenute militarmente contro dei manifestanti saharawi in un’area nel Sud del Paese che secondo gli accordi doveva restare smilitarizzata, portando ad una reazione del Fronte Polisario nei giorni successivi.
Il Sahara occidentale, situato a Nord Ovest del continente africano, è ancora oggi considerato dalle Nazioni Unite un territorio non autonomo, vale a dire una colonia, occupato in gran parte (75%) dal vicino Marocco. Un muro lungo più di 2700 km, eretto dal Marocco negli anni ’80, separa ancora oggi le pescose zone costiere e quelle interne ricche di fosfati, occupate dal Marocco, dal resto del Sahara occidentale, sostanzialmente desertico.
Il conflitto risale agli anni ’70, quando durante il processo di decolonizzazione del continente africano le Nazioni Unite invitarono la Spagna, la potenza coloniale del Paese dal 1884, a lasciare il territorio e a negoziare l’indipendenza con i saharawi, gli abitanti del Paese. Tuttavia, partiti gli spagnoli nel 1975, l’allora re del Marocco, Hassan II, rivendicò il territorio come marocchino (com’era prima del periodo coloniale spagnolo) e occupò il Paese, nonostante ci fosse una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che smentiva tale rivendicazione.
Migliaia di saharawi si rifugiarono in Algeria dove stabilirono uno Stato in esilio e il Fronte Polisario iniziò a combattere contro gli occupanti.
Nel 1991, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riuscì a negoziare un cessate il fuoco tra Marocco e Fronte Polisario. Una delle condizioni fu la promessa di un referendum in cui i saharawi avrebbero potuto decidere tra indipendenza, integrazione al Marocco o una condizione intermedia, e venne istituita a questo scopo una Missione di pace delle Nazioni Unite (Minurso), che aveva anche il mandato di far rispettare il cessate il fuoco.
A 29 anni dalla firma dell’accordo, però, i saharawi non hanno ancora potuto decidere sul proprio destino e il caso del Sahara Occidentale è diventato nel tempo un conflitto dimenticato.
Un insieme di sentimenti di frustrazione e di rabbia, dovute al mancato intervento delle Nazioni Unite da ormai 30 anni per l’avvio del referendum e per il blocco del saccheggio delle risorse naturali, ha portato la società civile saharawi a dar vita a manifestazioni di protesta, iniziate il 21 ottobre scorso a El Guerguerat, nel Sud del Paese, non lontano dal confine con la Mauritania, in una delle zone smilitarizzate, utilizzata, secondo le autorità saharawi, per l’esportazione di risorse naturali e di droga da parte del Marocco.
Così, nelle prime ore del 13 novembre scorso, l’esercito marocchino è intervenuto contro i manifestanti saharawi per riprendere il controllo di El Guerguerat, violando però in questo modo il cessate il fuoco in vigore dal 1991. Naturalmente per i militari marocchini i violatori sono i saharawi.
Dopo l’intervento militare del 13 novembre, Brahim Ghali, presidente in esilio della Repubblica Saharawi, che ha sede presso il campo profughi di Tindouf, in Algeria, e Segretario Generale del Fronte Polisario, ha decretato la fine dell’impegno del cessate il fuoco e la ripresa della lotta armata, ritenendo il Marocco responsabile dell’attacco di El Guerguerat.
Tra il 14 e il 15 novembre l’esercito popolare saharawi ha lanciato attacchi sincronizzati contro diverse basi e postazioni marocchine, principalmente lungo il muro che delimita la parte occupata. Attacchi protratti ancora il 18 e 19 novembre, che hanno causato gravi danni alle difese marocchine.
La questione non sarà semplice, ma tre decenni senza neppure un passo avanti sembra veramente troppo.