Il Sacre di Pina Bausch versione africana

Al Festival di Spoleto riallestito “Le sacre du printemps”, capolavoro della coreografa tedesca, con una compagnia di trentadue danzatori provenienti da quattordici Paesi africani
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Lo scorso anno lo avevamo visto al Festival di Spoleto, ma solo sul grande schermo, una versione cinematografica de Le Sacre du printemps girata en plein air.

Il luogo era una spiaggia del Senegal, con la sabbia in sostituzione di quella terra scura originariamente prevista sul palcoscenico. Nato grazie a Germaine Acogny, creatrice dell’Ècole des Sables a Dakar, con una compagnia di trentadue danzatori provenienti da quattordici Paesi africani, e ricostruito da Jo Ann Endicott, Jorge Puerta Armenta e Clémentine Deluy, nomi storici del Tanztheater Wuppertal, lo spettacolo, destinato a una tournée mondiale, si interruppe a causa del Covid.

Solo ora, allentata la morsa pandemica, eccolo approdare dal vivo sulla scena del Festival di Spoleto, tra i coproduttori internazionali dello spettacolo insieme al Sadler’s Wells di Londra e alla Fondazione Bausch. Ed è stato evento.

Quattro repliche tutte sold-out. Non poteva essere altrimenti trattandosi di quel capolavoro assoluto creato da Pina Bausch per il suo Tanztheater Wuppertal, spettacolo che ha girato il mondo e continua a emozionare e a mostrare, dal 1975, anno del debutto, l’inossidabilità di una creazione inimitabile per potenza espressiva e per quel segno unico della geniale coreografa tedesca.

Chi ha avuto la possibilità di vederlo danzare dagli interpreti storici della compagnia di Wuppertal, ritroverà la stessa forza, energia, espressività di quei magnifici danzatori, con l’aggiunta, qui, di una percezione emotiva forse ancora più forte data da quei corpi di altra cultura, struttura fisica e formazione di danza, che hanno assimilato, con la loro peculiarità e bellezza, il linguaggio della Bausch. Semmai, aggiungendo ad esso un valore ulteriore di universalità.

Perché universali sono certi sentimenti, moti dell’animo, o certe dinamiche ancestrali inscritte nei rapporti di forza tra i sessi. La lotta di sopraffazione, il potere maschile sulla donna, e la violenza che ne deriva, corrode ancora oggi la società.

Il sacrificio dell’Eletta, prescelta da un gruppo di uomini per essere immolata alla primavera, in quel rito propiziatorio per il risveglio della terra dopo la pausa invernale – rievocazione rituale fra gli antichi slavi pagani -, è il tema del Sacre du printemps nella partitura coreografica originale di Nijinskij sulla sconvolgente musica di Stravinskij, musica che già al debutto suscitò furiose reazioni per l’arditezza di una composizione fuori dai canoni.

Da allora non si contano i coreografi che si sono cimentati nel tradurre in danza quella musica così eternamente moderna che stimola la fantasia, ma sempre ricondotta al tema originario dal quale non si può prescindere. Molte le versioni viste negli anni, ma questa rimane iconica, la più conosciuta – insieme a quella di Maurice Béjart – e longeva. E ancora oggi impressiona e rapisce per la potenza  drammatica e i movimenti travolgenti che Pina seppe esprimere nella danza tribale che caratterizza il fuoco dei corpi sull’accensione del ritmo impresso da Stravinskij. Due schieramenti di uomini e donne sempre divisi riempiono la scena.

La veste vermiglia del sacrificio sulla quale, all’inizio dello spettacolo, giace una donna stesa a terra, viene raccolta più volte passando di mano in mano fra tutte le altre danzatrici perché ciascuna potrebbe essere la prescelta. Si alternano assoli e violenti giochi di masse, attraversamenti, circolarità, blocchi contrapposti, prese violente, corse furiose a piedi nudi, braccia roteanti e lanciate in ogni direzione, con la terra che sporca le camiciole color pelle delle donne, e i torsi nudi degli uomini con pantaloni neri. Si consumano le paure, le aggressioni, le attese, le fragilità, le prove di forza culminanti nella scelta di chi vorrebbe sfuggire al sacrificio disumano e maschilista di quell’atto propiziatorio. E l’assolo finale della danzatrice Anique Ayiboe, pieno di angoscia e dolore espresso nell’impazzimento delle braccia, delle corse e dei salti, e che, infine, crollando cede al richiamo crudele della terra, emoziona e sconvolge fino a toglierci il fiato.

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