Saba: il dono dell’acqua

Il suo recente ed atteso second-out Biyo (Egea) conferma quanto di buono già mostrava il suo debutto Jidka del 2008: etno-pop d’alto profilo.
Saba

Saba Anglana è una graziosa fanciulla nata in Somalia da madre etiope e padre italiano. Arrivata giovanissima nel nostro Paese, si è laureata in storia dell’arte, ha lavorato in campo editoriale, televisivo e cinematografico, finché l’incontro con Fabio Barovero (già leader dei Mau Mau) le ha definitivamente aperto la strada alla carriera musicale.

Il suo recente ed atteso second-out Biyo (Egea) conferma quanto di buono già mostrava il suo debutto Jidka del 2008: etno-pop d’alto profilo, costruito miscelando la solarità e gli struggimenti delle sue radici con il gusto occidentale contemporaneo. L’originalità e la personalità della sua ricetta escono qui ulteriormente rafforzate dal tema a cui l’intero album è dedicato: l’acqua, intesa come essenziale energia di vita. Un bene sempre più bistrattato, precario e minacciato, soprattutto nel Terzo mondo, e che in quest’ottimo cd viene amorevolmente raccontato e cantato in mille diverse sfumature, miscelando idiomi (dal somalo all’aramaico, dall’inglese all’italiano), strumentazioni ipertecnologiche ed antichissime, artisti nostrani e di Adis Abeba (dove il progetto è stato concepito), sacralità rituali e quotidianità ora dolenti ora gioiose.

Se il titolo rimanda al termine greco bios (vita), il sottotitolo Water is Love ben esprime l’anima di questo disco, così come la partnership con l’organizzazione sanitaria Amref ci dice quanto concreto voglia essere il suo impegno in questo campo. Con uno stile che mette insieme la dolcezza suadente di una Noa alle “pachanke” post-moderne dei Mau Mau, canzone d’autore e folk del Corno d’Africa, Saba elegge l’acqua a simbolo vivificante di fratellanza e di purezza; ma lo fa sorvolando guerre vicine e lontane, le tensioni e i mille paradossi sociali del nostro tempo, speranza e disperazione: quasi un’elegia multietnica che vibra di modernità, ma riverbera suggestioni ancestrali. Undici grandi brani, per un’artista già da annoverare tra le realtà più belle della nuova world-music.

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