SABA, HABIB, & IDAN: contaminazioni benemerite

C’è chi lo chiama crossover, chi etno-pop, chi semplicemente worldmusic. Non è mai stata una questione di etichette: è piuttosto una questione di sensibilità, di cosmopolitismo praticante e praticato, e di cuore. La musica del mondo – e quella popolare in primis – s’è sempre nutrita di commistioni e di contaminazioni, di meticciati espressivi che sono poi l’incarnazione del meltin-pot che attraversa le società del nuovo millennio, e del meltin-pop che ne fa da colonna sonora. Vi segnalo tre dischi, bellissimi ed emblematici. Ognuno a suo modo sostanzia quanto appena accennato, aggiungendovi un sottotesto evidente: oggi più che mai la musica ha un ruolo fondamentale nel veicolare valori di tolleranza, di fratellanza universale, di pace; perché non ha bisogno di discorsi e di proclami, e sa bastare a sé stessa. Cominciamo da Saba, una graziosa fanciulla somala costretta a lasciare la sua terra dall’infuriare della guerra civile. Figlia di un’etiope e di un italiano, arriva in Italia, come mille altri connazionali, alla ricerca di un po’ di pace. Grazie alle sue radici, si ambienta in fretta: si laurea in Storia dell’arte, comincia a lavorare come doppiatrice e poi come attrice (in teatro, e nella serie-tv La squadra). Ma la sua passione è la musica, e dopo un bel po’ di gavetta, grazie all’incontro col produttore Fabio Barovero (uno dei torinesi Mau Mau), approda al debutto solista con Jidka (The Line), appena uscito per la Riverboat. La linea cui il titolo fa riferimento è naturalmente quella che separa – ed unisce – l’Italia e la Somalia. E su di essa si snoda il suo percorso espressivo: un mix intrigante di modernismi pop e tribalismi afro, di morbidezze acustiche dove le chitarre flirtano con la kora e altri strumenti etnici, e di frenesie ritmiche decisamente solari. Un disco cosmopolita, concepito anche per abbattere le omologazioni delle playlist, e che rappresenta già di per sé un segno di tempi nuovi, e di nuove speranze. Discorso simile anche per il malese Habib Koitè e i suoi Bamada. Notissimo in Africa, emergente in Europa e negli States, questo eccellente cantautore e chitarrista miscela diverse sonorità dell’Africa Occidentale, come ben dimostra il recente Afriki (Cumbancha-Egea), un inno, coloratissimo e struggente insieme, alla propria gente e alle proprie radici. Habib, giovanotto della nobile stirpe dei griots, ha inciso questo disco in tre continenti, ma è restato indissolubilmente legato alla sua terra, dove continua a vivere quando non è in giro per il mondo. Facile prevedere per lui un futuro da stella della canzone d’autore terzomondiale. Ancor più originale il percorso dell’Idan Raichel Project: un ensemble guidato da un giovane e talentuoso compositore e tastierista israeliano. Nel suo omonimo album, appena distribuito dalla solita, attivissima Egea, fonde le atmosfere occidentalizzanti del pop locale con antiche melodie etiopi; liriche religiose, amorose e popolari, cantate in ebraico, amarico, e in diversi dialetti arabi ed africani. Atmosfere elettroniche, malinconie acustiche, suggestioni multietniche (ci sono anche evidenti richiami caraibici): dodici piccole perle, da aggiungersi alle altre dei succitati colleghi, per impreziosire ulteriormente la collana della musica del mondo. Perché non c’è omelia, non c’è risoluzione Onu, non c’è comizio e non c’è arringa, che possa aprire il cuore come una bella canzone. CD Novità Dylan Dylan (Sony-Columbia) Un cofanetto in tre cd per compendiare una delle istituzioni della canzone novecentesca. Cinquantun brani, per attraversarne tutti gli umori, e le stagioni migliori. Anne Ducros Urban tribe (Dreyfus) Uno dei talenti più limpidi del nuovo jazz vocale femminile. Una manciata d’evergreen, buoni per tutte le orecchie in fuga dalle banalità del pop da classifica.

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