Ruy Blas e il suo amore per la regina
Ruy Blas e il senso dell’identità
L’adattamento del regista Marco Lorenzi dell’opera di Victor Hugo è un dialogo tra l’autore e gli uomini di oggi, un cortocircuito tra un testo teatrale così (apparentemente) lontano da noi con la tecnologia e le forme che il teatro contemporaneo ci mettono a disposizione. Sullo sfondo di un mondo che è sul punto di crollare, il dramma racconta la storia di un alto funzionario della corte spagnola che, per vendicarsi della regina, tesse un inganno scambiando l’identità del proprio servo Ruy Blas con quella del nobile Don Cesare, per poi introdurlo a Corte. Ruy Blas, ignaro degli intenti del suo padrone Don Sallustio, accetta lo scambio e veste i panni di Don Cesare perché è l’unico modo, per lui, di avvicinarsi alla regina di cui è profondamente innamorato. Ruy Blas è la storia di un uomo che si ritrova a rivestire un ruolo e un nome non suoi, riuscendo, grazie a questo inganno, a utilizzare al meglio le sue qualità, i suoi valori e ad avvicinarsi a un amore altrimenti impossibile. Ruy Blas è anche una raffinata indagine sul senso dell’identità: chi sono io, sono il mio nome? Sono il mio ruolo sociale? Sono le mie azioni? Sono tutto questo contemporaneamente?
“Ruy Blas. Quattro quadri sull’identità e il coraggio”, adattamento dell’opera Ruy Blas di Victor Hugo, regia Marco Lorenzi, con Yuri D’Agostino, Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi, Anna Montalenti, Alba Maria Porto, Angelo Maria Tronca, uno spettacolo de Il Mulino Di Amleto in collaborazione con Kataplixi Teatro in coproduzione con TPE – Teatro Piemonte Europa e Tedacà. A Milano, Teatro Fontana, dal 25 al 28/10.
Il Faust siciliano di Vincenzo Pirrotta
Ispirandosi all’opera teatrale di Cristopher Marlowe, prima potente incarnazione del mito faustiano, l’attore e regista siciliano trasporta nei nostri giorni il mito dell’uomo assetato di scienza, bellezza e successo, che stringe un patto col diavolo. «Nella mia trasposizione – spiega – sono preponderanti due aspetti: la continua colluttazione tra Faust e la sua coscienza, che nell’opera di Marlowe è rappresentata dal contrasto tra l’angelo buono e l’angelo cattivo, e l’incontro con i vizi capitali». Con un linguaggio diretto e potente, intriso di sonorità dialettali, Pirrotta immagina un Faust dei nostri giorni, gonfio d’orgoglio e di disperazione. «Ho cercato di capire quali strumenti utilizzerebbe un Mefistofele d’oggi per conquistare le anime, concentrandomi non tanto sulla questione morale, quanto sull’omologazione e sullo svuotamento delle intelligenze che viviamo nel nostro tempo».
“Faust, ovvero, Arricogghiti u filu”, di Vincenzo Pirrotta, da “La tragica storia del Dottor Faust” di Cristopher Marlowe, con Cinzia Maccagnano e Vincenzo Pirrotta, musiche originali di Luca Mauceri, regia, scene e costumi di Vincenzo Pirrotta. Produzione Teatro Biondo Palermo. A Palermo, Teatro Biondo, dal 24/10 al 4/11.
Un mondo quasi perfetto
Il testo di Pierattini affronta il tema attuale e complesso dell’adozione o delle false vocazioni, di sogni che una volta svelatisi mostrano la faccia della sconfitta e del disinganno. Una coppia, non più giovanissima, sogna di adottare un figlio. Quando scopriamo in scena i due protagonisti, il loro calvario di attese e delusioni sembra essere definitivamente concluso. L’arrivo del figlio è in realtà l’inizio di un percorso di difficoltà devastanti che fin dall’inizio del secondo quadro si rivelano insuperabili. I due protagonisti scoprono in rapida successione quanto sia “impossibile” amare l’oggetto dei loro sogni. Le difficoltà non stanno nella personalità pur complessa del ragazzo, ma nella stessa natura dei due protagonisti. Nell’essenza di quell’universo a due, grigio, ma anche autosufficiente e appagante, che contraddistingue la loro unione.
“Un Mondo Perfetto”, scritto e diretto da Sergio Pierattini, con Manuela Mandracchia, Paolo Giovannucci ed Emanuele Carucci Viterbi, scene e costumi Tommaso Bordone, musiche Gwyneth Schaefer. A Roma, Teatro Argot Studio, dal 23 al 31/10.
Le parole di Cassius Clay
“Ho lottato contro un coccodrillo, ho lottato con una balena, ho ammanettato i lampi, sbattuto in galera i tuoni. L’altra settimana ho ammazzato una roccia, ferito una pietra, spedito all’ospedale un mattone. Io mando in tilt la medicina”. Parole di Muhammad Ali, il più grande boxeur della storia. Un uomo che si fece cambiare il nome, “perché Cassius Clay è un nome da schiavo”. Un ragazzo dalla pelle nera che si rifiutò di andare a combattere in Vietnam, e che per questo finì in prigione. Un attivista che, nel suo un inglese strano, imperfetto, magnifico, difese fino all’ultimo giorno della sua vita i diritti dei black, dei neri. Lo spettacolo prova a portare in scena le sue parole, mai dette a caso, veloci, pesanti, leggere, fondamentali, così come si “analizza” ogni aspetto della sua vita: il privato, il pubblico, la sicurezza, il carisma.
“Muhammad Ali”, drammaturgia Linda Dalisi, ideazione e regia Pino Carbone, con Francesco Di Leva, scene Mimmo Paladino, costumi Ursula Patzak, musiche Marco Messina e Sacha Ricci, luci Cesare Accetta. Produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro. A Napoli, Teatro Nuovo, dal 24 al 28/10.
A Torinodanza lo sradicamento di Salia Sanou
Il danzatore e coreografo del Burkina Faso Salia Sanou con la sua compagnia Mouvements Perpétuels, esplora i suoi temi prediletti: la terra d’origine, lo sradicamento, l’esilio, il rapporto con i confini. L’eco di questi pensieri risuona nei testi di Nancy Huston, in particolare in Limbes (Limbo, un omaggio a Samuel Beckett). Ma fonte d’ispirazione primaria è la condizione dei corpi, degli spazi e delle atmosfere percepite durante i workshop di danza che ha condotto nei campi profughi del Burundi e del Burkina Faso, come parte del progetto “Refugees on the Move” avviato dalla African Artists for Development Foundation. Il risultato è una composizione in cui il vocabolario coreografico dà spazio al significato e alla riflessione sulla delicata situazione dei rifugiati e sulla sua risonanza in ognuno di noi, l’esilio interiore che ciascuno porta con sé come dote inalterabile di forza, di lotta e di desiderio. Creato nel 2016 lo spettacolo arriva per la prima volta in Italia dopo una lunga tournée tra Europa, Africa e Sud America.
“Du désir d’horizon”, coreografia Salia Sanou, scenografia Mathieu Lorry Dupuy, luci Marie-Christine Soma, musiche Amine Bouhafa, regia generale Rémy Combret, regia luci Raphael De Rosa. A Torino, Fonderie Limone Moncalieri, per Torinodanza, il 25 e 26/10.
Tango Glaciale reloaded
Per Mario Martone, Tango Glaciale da lui creato, nel 1982, a 22 anni, con il gruppo Falso Movimento, è tutt’altro che un’operazione nostalgica, bensì “una macchina del tempo” reloaded, ovvero “ricaricata” da Anna Redi e Raffaele Di Florio su tre giovani danzattori nel 1982 non ancora nati. Per RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/’90, la pièce del regista napoletano dà conto di quanto negli anni della nostra “tradizione coreografica del nuovo”, anche il teatro sperimentale si muovesse in una direzione fisica, “alla Artaud”, refrattaria a testi e parole come unici veicoli espressivi. Una cascata d’immagini, musiche non solo pop e jazz, danze e azioni/citazioni crea un universo di ritmica freschezza simulando un percorso narrativo incentrato sull’attraversamento di una casa da parte di tre personaggi: due uomini e una donna in un rapporto tra loro non ben definito.
“Tango Glaciale reloaded”, progetto, scene e regia Mario Martone, riallestimento a cura di Raffaele Di Florio, Anna Redi, interpreti 1982 Tomas Arana, Licia Maglietta, Andrea Renzi, interpreti 2018 Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro. A Roma, teatro Vascello, per il Romaeuropa Festival, dal 25 al 28/10; A Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, per Festival Aperto, dal 15 al 18/11.