Rut e Booz

Una storia d’amore tenera e delicata. Tra due persone che sanno aspettare. E dalla cui unione discenderà Davide, il futuro re d’Israele. Il racconto nelle pagine de Quando fioriscono i melograni. L’amore ai tempi della Bibbia di Michele Genisio
Quando fioriscono i melograni_Città Nuova

La storia più bella è quella di Rut. È una vicenda tutta freschezza, sa di campi gialli di grano, di marghe­rite e ranuncoli nei prati. È una vicenda senza miracoli assordanti, senza tragedie, senza prove difficili e senza il sangue che spesso intride le pagine del testo sacro. Un sorriso di tenerezza, fra le pieghe della Bibbia.

È una sto­ria d’amore, quella di Rut, non fra giovani, ma fra due persone adulte, già provate dalla vita. Noemi è un’ebrea, nata nel piccolo villaggio di Betlemme. Da giovane fugge in un paese straniero – la terra di Moab – perché una gra­ve carestia ha colpito Israele. Vive là per parecchio tempo con la famiglia. I suoi due figli prendono mogli moabite: uno sposa una donna di nome Orpa, l’altro ne sposa una che si chiama Rut. La vita però non è clemente con Noe­mi: in quella terra straniera prima muore suo marito, poi muoiono i suoi due figli. Sia Noemi sia le cognate Orpa e Rut rimangono vedove.

Passano gli anni. Noemi è anziana. Le notizie che giun­gono dal suo villaggio dicono che la carestia è finita. De­cide allora di tornare in Israele per morire nella terra dei suoi padri. Il suo cuore è pieno d’amarezza: la vita con lei è stata troppo dura e non s’aspetta più soddisfazio­ni. Non vuole più essere chiamata Noemi – che significa “dolcezza mia” –, ma si fa chiamare Mara: «Non mi chia­mate Noemi: chiamatemi Mara, amarezza».

Noemi si congeda dalle nuore. Non vuole che torni­no con lei perché non ha alcun futuro da offrire. Orpa, piangendo, saluta Noemi e rimane nella terra di Moab.

Rut invece no: vuole andare con Noemi, non la vuole la­sciare. Rut sa che, per la legge ebraica, una vedova può risposarsi solo col parente più prossimo del marito. E Noemi le ha detto che parenti del marito non ce ne sono più. Quindi sarà destinata a rimanere sola. Noemi, che le vuole bene, tenta di liberarla da quel vincolo e insiste perché rimanga a Moab e costruisca lì il suo futuro. Ma Rut è ostinata e dice a Noemi: «Non insistere con me perché ti abbandoni; dove andrai tu, andrò anch’io; dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta».

Le due donne si mettono in cammino. Arrivano a Betlemme col bruciare della prima estate, quando si co­mincia a mietere l’orzo e la campagna è una festa di colori e profumi. Rut è una straniera, in quel posto non conosce nessuno. Per di più non è ebrea. Per lei sarà dura. Ma si dà da fare. La prima cosa è cercare di sopravvivere: non sempre facile, a quei tempi, senza uomini in casa. Rut viene a sapere che, secondo un’usanza ebraica, a chi non possiede nulla è concesso di spigolare dietro ai mietitori, per raccogliere le spighe che lasciano sul campo. Chiede a Noemi il permesso d’andare in un campo per tentare di portare a casa qualche manciata d’orzo.

Capita così per caso – dice la Bibbia, che sa che il caso non esiste – che un giorno Rut vada a spigolare nel campo d’un certo Booz. Lavora tutta la mattina sotto il sole cocente che abbaglia il cielo azzurro intenso. Quando è ora di pranzo i lavora­tori si fermano. Arriva Booz e tutti s’alzano, per rispetto. Così s’incontrano, Rut e Booz. Lui è ebreo, è il padrone, ricco; lei è una straniera povera, col viso abbronzato e rigato di sudore. Piace subito, a Booz, quella donna: ha lo sguardo dolce, solare, sincero. La invita a mangiare con lui: «Vieni, mangia il pane e intingi il boccone nell’aceto. Essa si pose a sedere accanto ai mietitori. […]

Alla sera Rut torna a casa con un sacco colmo d’orzo. Orgogliosa del suo lavoro, felice, racconta a Noemi di quella giornata fortunata. Il volto dell’anziana s’illumina di colpo: «Booz! Il campo in cui sei andata a spigolare per caso appartiene a Booz, che è un nostro lontano pa­rente di cui m’ero scordata!». Noemi capisce che ha tra le mani un’occasione unica, e non la vuole perdere. Infatti secondo la legge ebraica il parente più stretto ha diritto di riscatto, cioè deve garantire alla vedova la discendenza. Noemi invita allora Rut ad agire subito: «Stasera ci sarà la festa di fine mietitura. Tu va’, ma non partecipare al banchetto e alle danze. Aspetta che sia tutto finito, poi quando Booz sarà sazio di cibo e allegro di vino, guarda dove si corica, va’ lì e stenditi ai suoi piedi. Però lascia le vesti da vedova: stasera indossa l’abito più bello, profu­mati e mettiti i gioielli». «Farò quanto dici», dice Rut im­barazzata, sorpresa dall’audacia dell’anziana. […]

Scende la notte fra i monti della Giudea. Dopo la festa e le danze Booz va a coricarsi su un covone di grano e si copre con un mantello. La notte trasuda ancora della calura del giorno estivo, ma già si sentono i primi fremiti della notte. Presto Booz s’addormenta profondamente, col ventre appesantito dal cibo e la testa leggera per il vino. Rut, che lo segue con lo sguardo, lo raggiunge e s’in­fila silenziosamente ai suoi piedi, sotto la coperta. Booz non se ne accorge. Lei, sistemandosi sul fieno, lo tocca appena, con due dita. Poi viene la notte fonda, e le stelle lassù, e la brezza che s’infila tra i covoni sfiora i corpi e accarezza i capelli. A un tratto un brivido lieve corre lun­go la schiena di Booz, che si sveglia e vede Rut coricata ai suoi piedi, bella, con quell’abito, quei gioielli. Un sussul­to al cuore. Non servono molte parole, per capirsi. Lei, arrossendo, dice: «Sono Rut, tua serva… Noemi m’ha detto di venire da te. Tu hai il diritto di riscatto».

Booz la guarda incredulo: «Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà è migliore anche del primo, di restare con Noemi, perché non sei andata in cerca di uomini giovani». Booz non è più giovane. Di lui sappiamo poco. Certamente è un uomo stimato nel vil­laggio. Rut e Booz sono persone mature, hanno alle spalle un passato. Sanno aspettare. Sanno cosa si deve dare e ricevere per gustare le profondità dell’amore. Sanno es­sere l’uno per l’altro dono, come ogni incontro d’amore deve sempre essere. […] E neppure immaginano che la loro felicità è destinata ad andare ben oltre quell’abbraccio: saranno i bisnonni di Davide, il futuro re d’Israele; saranno i pro­genitori di Giuseppe, marito di Maria, la mamma di Ge­sù. Quello che era successo quel pomeriggio nel campo di grano non era avvenuto per caso.

Da Michele Genisio, Quando fioriscono i melograni. L’amore ai tempi della Bibbia (Città Nuova, 2014)

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