Di Russia non si muore

Tchaikovsky e Rimsky-Korsakov all’Accademia di S. Cecilia a Roma

È stato così bello il concerto alla romana Accademia di S. Cecilia, che viene la voglia di sentirlo di nuovo. Programma invitante: Tchaikovsky (Prima Sinfona, Ouverture solennelle 1812, valzer dall’Eugenio Onegin) e Rimsky-Korsakov (Capriccio Spagnolo).

Protagonista indiscussa l’orchestra ceciliana al suo meglio. Formidabili gli archi nella Prima Sinfonia (violoncelli pastosi e vellutati, viole) in un brano caratterizzato da una malinconia di fondo, anzi una tristezza esistenziale, nascosta sotto la leggerezza e la discorsività della linea musicale (ma questo sarà di tutto Tchaikovsky).

Lieve sempre l’orchestra nel valzer, un genere caro al musicista, ingiustamente tacciato di superficialità a suo tempo, quando è invece melodia aerea, flessuosa. Raffinata, insomma. Pomposa, trionfalistica è l’onda sonora dell’Ouverture tutta ad effetto – gli ottoni! -, ben fatta, più che ispirata: Tchaikovsky era un “arrangiatore” supremo.

Virtuosismo sgargiante e a dir il vero “pompieristico” nel Capriccio di Korsakov, in linea con la moda ottocentesca per il folclore spagnolo (senza mai conoscere la Spagna reale, come molti colleghi). Ritmi, colori, danze, arabeschi: ecco il Capriccio, sontuoso come certi dipinti del primo Goya. Korsakov è un orchestratore geniale anche quando ha poco da dire, come in questo caso, ma seduce.

Musica dunque brillante, viva con orchestra e coro impegnati e divertiti. Dirigeva il russo Alexander Sladkovsky, star in ascesa e dunque dinamico, effervescente, divistico (fin troppo), capace di tenere in pugno con accortezza un’orchestra al galoppo sulle musiche colorate dei compositori.

Così la musa russa del tardo Ottocento è tornata ancora a Roma, insieme all’Onegin al Teatro dell’Opera. Musica come vita e voglia di espandersi, di comunicare, di affascinare. Esperimento riuscito.

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