Russell Maliphant insegue il filo di Arianna
Del Minotauro, il leggendario mostro metà toro e metà uomo del labirinto di Creta, è difficile individuare qualcosa che lo ricordi. Anche il filo di Arianna si fa fatica a intravederlo. Forse si è spezzato in corso d’opera. Non importa. Ispirato, nelle intenzioni, alla nota figura mitologica, lo spettacolo The Thread, del coreografo britannico Russell Maliphant, al di là di qualsiasi riferimento narrativo, leggibile o meno, usato come pretesto o solo come suggestione, vince per la bellezza della danza. Con riferimento all’antica Grecia e alle sue danze elleniche, mescolando differenti generi coreografici, Maliphant tesse i fili della tradizione e della contemporaneità, del passato e del presente, in un unico tessuto, sfumando gesti e movimenti che sfumano dal folklore più puro alla cifra stilistica contaminata che più gli appartiene – con le influenze di T’ai-Chi e Capoeira che conosciamo ‒, trasformandola sotto i nostri occhi.
L’effetto è come se un ballo gemmasse dall’altro e a esso ritornasse variato, arricchito. E a un fiore che si apre e sboccia fa riferimento l’iniziale disporsi in una danza circolare, con tutti i 18 ballerini ‒ 12 contemporanei e 6 tradizionali ‒ uniti come una catena umana con le braccia sulle spalle, che roteano avanti e indietro, aprendosi e chiudendosi illuminati dal calore di un fascio di luce. A un ballo sirtaki fa subito riferimento la prima sfilata frontale, una processione che avanza e si moltiplica. Seguono altri balli con un prevalente turbinio di gambe, continuamente interferiti da movimenti di rottura di altri danzatori che riprendono il ritmo dei piedi e le rotazioni delle braccia dentro corridoi, quadrati o cerchi di luce intermittente, bianca e dorata (il lighting designer è Michael Hulls). Qui, come se prendessero continuamente vita da bassorilievi, si collocano coppie, terzetti, quartetti, raggruppamenti in altre sfilate anche solo femminili o solo maschili – in una sequenza gli uomini salterellano con dei campanacci legati alle cinture; in un’altra le donne sembrano ninfe fuoriuscite da un quadro ‒, seguendo un flusso sonoro esplosivo di musica elettronica composta dall’artista greco Vangelis, dove sono riconoscibili strumenti tradizionali.
La danza scultorea, elastica, scivolosa di Maliphant, fatta di sbalzi, di torsioni liquide e braccia ondivaghe, di lente e pulsanti rotazioni e di linee serpentine, è quella che lega il fluire ipnotico di questo quasi mistico “filo” che intende legare popoli ed epoche lontane, o semplicemente il filo della vita. A impreziosire la visione sono i bellissimi costumi della stilista greco-londinese Mary Katrantzou ispirati alle antiche pitture vascolari e alle sagome egizie, con le donne dalle gonne di disegni schematizzati, colore blu e rosso, e gli uomini in pantaloni scuri, stivali, camicie e fasce rosse, alternati a costumi più ridotti. Il progetto, nato ad Atene, ha avuto, nella coproduzione del Megaron Athens Concert Hall e del Sadler’s Wells London, la collaborazione di Marche Teatro con una residenza e un’anteprima al Teatro delle Muse di Ancona, cui ha fatto seguito la prima mondiale al Sadler’s Wells di Londra.