Rusalka La bella favola
Musica di A. Dvorák. Roma, Teatro dell’Opera. Di ondine, sirenette e ninfe è ricca la letteratura favolistica europea: celebre è appunto La Sirenetta di Andersen. Così, quando Dvorák, l’autore della famosa Sinfonia n. 9 dal nuovo mondo, nel 1900 scrive i tre atti della fiaba lirica dove la ninfa Rusalka vuole provare cosa significa amare un essere umano – il bel principe che si bagna spesso nel suo lago – a costo di scoprirne, con l’infedeltà, l’amarezza e la fatica, non sceglie di per sé un soggetto nuovo. Originale è però la musica, raffinata oltre ogni dire: alterna fantasia ad emotività struggente – vedi il canto patetico dei violoncelli -, voglia di vivere gagliarda – gli squilli degli ottoni -, malinconia e deliqui d’amore. Rusalka, per quanto creatura naturale e diversa, sospira anelante la vita umana, che le sembra solo bellezza e felicità, per poi incontrare col tradimento di lui per la bella principessa il dolore, che ella non conosce. Ma è a questo punto che l’opera alza il suo volo e la leggiadria degli archi, soffice come un tappeto traforato, che dapprima evidenziava uno stato di paradiso terrestre, di innocenza, cede il passo ad invocazioni appassionate d’amore e di dramma. Nessun verismo tuttavia. Dvorák sa di essere nel mondo della fiaba: così la strega Jez?ibaba con i suoi scudieri è tratteggiata a tinte tragicomiche e il finale con la bella morte di lui che, pentito, si spegne sull’ultimo bacio con Rusalka, chiude melodiosamente il racconto. Amore e morte, passione e libertà, incanto e leggerezza formano gli elementi dell’opera che non conosce pesantezze, ma si snoda in un cantabile melodioso fra sogno e realtà, ricco di respiro largo, di fantasia timbrica. Ma pure di verità, perché sotto il racconto favolistico è tratteggiato quel sottile divario fra esseri animati e inanimati, fra amore sospirato e amore mai raggiunto che vena l’anima di una impalpabile linea malinconica, così slava, sanguigna ma temperata. L’edizione romana di questo lavoro, purtroppo da noi poco noto, vedeva l’allestimento del Teatro Dvorák di Ostrava, essenziale (un ponticello, uno specchio d’acqua, un fondale verdeazzurro) come la regia, su cui brillava la concertazione precisa e la direzione attenta di Günter Neuhold che ha ottenuto dall’orchestra (che credeva a questa musica) suoni di rara morbidezza, dagli ottoni dorati e intonati agli archi trasparenti ai legni assai dolci, in equilibrio col palcoscenico. Qui emergevano Eva Drizgovà-Jurusova, raggiante soprano lirico, e il bravo tenore Kostyantyn Andreyev. Cosa resta di questo spettacolo dove la musica è stata la padrona assoluta? Un senso di gioia e di pacatezza. DISCHI E VIDEO 1998, direttore C. Mackerras, con Heppner, Urbanovà, Fleming, Filarmonica di Praga (Decca), edizione di riferimento. 2002, dir. J.Conlon, con Larin, Urbanovà, Fleming, Orchestra Opéra Bastille di Parigi (video, TDK).2007, dir. Hickox, con Barker, La Spina, Owens, Opera di Sidney (Chandos).