Rubens: superstar felice
Finalmente un pittore felice. Niente angosce, tribolazioni, disperazioni. Si respira a pieni polmoni nelle tele sterminate che raccontano favole mitologiche o le storie della regina Maria de’ Medici, passioni di Cristo, glorie di santi o ritratti di benestanti. Lui per primo, biondo e ricciuto col pizzetto, seduto con la bella moglie Isabella, la splendida bambina dagli occhi dolci, nel cortile della casa di Anversa. La casa con l’atelier dove lavorano gli studenti a stendere in tele infinite i bozzetti fantasiosi del maestro.
Non si ferma un istante. Viene anche in Italia, ovvio, a studiare: Tiziano soprattutto. Lascia lavori a Roma, Fermo, Genova, Mantova, dove è il press-agent dei Gonzaga, avidi collezionisti d’arte. Il colpaccio è l’acquisto della Morte della Madonna di Caravaggio, rifiutata dai carmelitani. Lui la compra, la dà ai Gonzaga, poi finirà al Louvre.
Naturalmente, la sua pittura è agli antipodi da quella caravaggesca. Altro che luci spezzate, facce sfigurate, sentimenti tragici. Le Madonne di Rubens sono in carne, le donne floride e sensuali, il Cristo risorto a Firenze scoppia di salute con gli occhi azzurrri, san Sebastiano a Roma è un gigante moribondo, ma non del tutto. Ed anche se il duomo di Anversa vede una Deposizione dolente, una Crocifissione affannata, il colore turgido, le luci calde dicono che lo spettacolo è fascinoso, gli attori sono bravissimi e che la vita trionferà sulla morte.
Rubens è ottimista, un cattolico della Controriforma tutt’altro che amaro. È sincero, mai superficiale: crede nella vita, nell’amore. Pensa positivo. Anche nei paesaggi dove gli piace ritrarre una natura estiva di boschi e acque con la gente che vi lavora tranquilla, operosa. E in pace.
Parrà strano, ma uscendo dalla mostra milanese di Palazzo Reale – oggi in chiusura – dopo tele di un cromatismo dinamico e furioso, seducente e appagante, ci si sente bene. Felici. Rubens è il barocco entusiasta, esplosivo. Gli piace dipingere, di tutto, e lo si vede. Ha una mano magica, trasforma il colore in carne sangue, e respiro.
Un Bernini della pittura? Forse. Con qualcosa in più. La gioia ininterrotta che corre per le sue opere in ogni genere, dall’inizio a quando nel 1640 muore a sessantatrè anni nella sua Anversa. Vivesse oggi, sarebbe un regista di kolossal fantasiosi, ma anche capace di storie intime, di sentimenti freschi e belli. Un mago del cinema così come lo è stato della pittura.
Rubens e la nascita del Barocco (Catalogo Marsilio)