Ru 486, opportuna indagine del Senato
Fare luce sui molti rischi della pillola abortiva. È l'indicazione unanime di maggioranza e opposizione.
Vent’anni fa è stata prodotta per la prima volta in Francia la Ru486, la cosiddetta pillola abortiva: due principi attivi che vengono somministrati in successione, provocando il distacco della placenta dalla parete uterina e l’espulsione dei tessuti placentari e dell’embrione.
Ed è da vent’anni che si discute animatamente sulla sua introduzione anche in Italia. In realtà, dal 2005, in alcuni centri autorizzati, se ne è intrapreso l’uso sperimentale e il 30 luglio scorso l’Agenzia italiana del farmaco ne ha autorizzato la commercializzazione, raccomandandone l’uso entro la settima settimana, nel «rigoroso rispetto della legge per l’interruzione volontaria della gravidanza».
La decisione dell’Agenzia del farmaco ha incontrato il consenso di quanti ritengono che, con questa nuova metodica, la donna avrà più ampia libertà di scelta. Il ricorso alla pillola abortiva, inoltre, comporterà, pare, anche un risparmio per le casse dello Stato.
Gli oppositori vedono invece nella pillola abortiva un pericolo di banalizzazione dell’evento aborto e affermano che «abortire diventerà facile come bere un bicchier d’acqua»; lascerà la donna ancora più sola di fronte ad un dramma così profondo, ed aumenterà i rischi per la sua salute.
Non è facile districarsi in un campo come questo, così complesso per le sue implicazioni etiche, politiche, sociali; è necessario, però fare lo sforzo di cogliere tutti i fattori in gioco perché resti chiaro che l’aborto è sempre una sconfitta, non solo per la donna, ma per tutti.
L’interruzione di gravidanza è consentita in Italia dalla legge 194 del 1978. Per la donna che lo richiede è possibile abortire entro il 90° giorno di gestazione, dopo un colloquio attraverso il quale verificare tutte le alternative all’aborto, riconosciuto come un male e mai come un diritto. L’intervento va eseguito in ospedale, sotto stretto controllo medico. Uno dei motivi per cui nacque la 194, infatti, era quello di proteggere la donna dai rischi gravi per la sua salute e per la sua vita, così frequenti nella pratica dell’aborto clandestino, e accompagnarla in una decisione che la vede, tristemente, unica protagonista.
Osservando la questione in modo superficiale, verrebbe da dire che in fondo, o metodo chirurgico o metodo chimico, se una donna è intenzionata ad abortire, dal punto di vista etico non c’è differenza. Anzi, l’uso del farmaco consentirebbe l’espulsione dell’embrione in modo più “naturale”.
Visto però più da vicino il problema è molto diverso: per diminuire il rischio di quelle complicanze gravi che, in questi vent’anni, si sono verificate nei Paesi in cui è già usata, il ricorso alla Ru486 è limitato alle sette settimane di gestazione. Perciò la donna, che sa di essere incinta da circa due, tre settimane, se è orientata all’aborto chimico, deve affrettarsi a prendere una decisione che la segnerà per tutta la vita.
I due terzi delle donne che assumono la Ru486 espellono l’embrione il secondo giorno del protocollo, nelle 3-4 ore di attesa in ambulatorio, dopo l’assunzione del secondo principio attivo. Le altre, invece, impiegheranno alcuni giorni. È molto probabile perciò che durante l’aborto vero e proprio, la donna sia in casa, magari sola, con i dolori delle contrazioni uterine, il rischio di emorragia e con la possibilità di vedere l’embrione morto, che se pur piccolo è comunque riconoscibile.
Non si può certo dire che tutto questo sia una conquista per la donna. Sembra piuttosto un modo per giungere al più presto alla fine di un incubo, quale l’aborto effettivamente è.
La fretta, inoltre, lo sappiamo, è cattiva consigliera. Potrà la donna ponderare veramente tutte le implicazioni della vicenda? Ci sarà il tempo per cercare delle soluzioni che possano dissuaderla dalla sua scelta? Lo spazio per incontrare qualcuno capace di dare speranza, di far intravedere in quel figlio che ha fatto capolino nella sua vita una ricchezza da accogliere, una opportunità da incontrare?
Quante donne avranno le idee così chiare da essere certe fin dall’inizio che quel figlio, dal loro punto di vista, non può nascere? Viene il sospetto che saranno coloro che, a priori, non vogliono figli, incorrendo nel rischio di usare l’aborto, proprio perché effettuato in un tempo così precoce, come un metodo di controllo delle nascite, in palese contrasto con l’articolo 1 della legge 194. Anche il card. Bagnasco, nella sua prolusione all’Assemblea generale della Cei, ha esplicitato questo pericolo.
Nel frattempo la Commissione sanità del Senato ha richiesto una indagine conoscitiva prima di giungere alla decisione definitiva sulla Ru486.
Il tema è lacerante, la politica può e deve compiere scelte concrete per dare risposte davvero a favore della vita. Una vita che, per essere accolta, ha bisogno di famiglie in cui i coniugi possano contare su di un salario dignitoso e garantito; di case per le quali non sia necessario pagare affitti e mutui che dimezzano (quando va bene) il reddito familiare; di reti di supporto, sia pubbliche che di volontariato, che siano a disposizione ogni qual volta si presenti una disabilità, una malattia grave, una persona anziana da accogliere; di agenzie formative che aiutino i giovani a dare senso alla sessualità, da vivere come espressione di un amore vero, maturo, capace di accogliere la vita quando questa bussa, anche se inaspettatamente, alla loro porta. Occorre soprattutto un rinnovato clima culturale che riconosca il valore di ogni vita, di tutta la vita.