Rovinarsi con le proprie mani

Dalle Filippine il commento di uno dei maggiori editorialisti sulle recenti inondazioni che stanno mettendo in ginocchio il Paese.

La generosità e l’amore dei filippini, in patria e all’estero, per le vittime delle recenti inondazioni, sono qualcosa di cui essere ammirati. Siamo veramente un popolo meraviglioso.

Ma le molte storie commoventi di eroismo e di condivisione non devono illuderci: non possiamo accontentarci di provvedere alle necessità immediate delle vittime  –  cibo, una sistemazione provvisoria, medicine, vestiti e così via –, senza prendere in considerazione quella che sarà la loro più grande necessità, la ricostruzione, quando il tempo della distribuzione dei beni sarà finito.

 

I più poveri della nostra società erano già appesi ad un filo prima del disastro dell’inondazione. Percossi dalla crisi economica, come attesta l’aumento di disoccupazione e casi di malnutrizione, spazzati via dalle baracche che chiamano case, sono in una situazione disperata, senza speranza perché non possiedono più la capacità di provvedere alle necessità di base, non avendo lavoro né beni di qualsiasi tipo.

Un amico impegnato nella distribuzione di beni di prima necessità, mi ha raccontato che in certe aree hanno affrontato problemi di ordine pubblico, con la polizia che faceva fatica a controllare le proteste della folla, tanto che si è dovuta interrompere anche la distribuzione alimentare per le troppe persone che si accalcavano. Ci sono già segnali di rabbia tra le molte vittime delle inondazioni. Gli agenti di polizia sono addestrati a segnalare queste avvisaglie di pericolo, per prevenire ed impedire disordini più gravi.

 

Sappiamo che anche un piccolo sommovimento in uno stadio, può provocare una insurrezione più larga e incontrollata. Se questo lo può generare la passione sportiva per una squadra, si può immaginare il livello di rabbia di una persona che ha perso il poco che possiede nella vita, che è sotto stress, isolata in cima ad un tetto con la sua famiglia, senza cibo da tre giorni.

Uomini così esasperati possono ricorrere a misure disperate come il furto o, se è costretto dalle circostanze, anche all’omicidio.   Se i disordini diventassero molto estesi, potrebbero portare al collasso dell’intero sistema.

 

Il regime di Gloria Macapagal Arroyo è vulnerabile a questa pericolosa implosione. Buona parte delle famiglie dei nostri soldati vivono nelle aree colpite dalle recenti inondazioni. Chi reprimerà le eventuali insurrezioni se anche le famiglie dei soldati prendono parte ai tumulti?

Questi disastri devono spronarci a compiere delle riforme significative, che indirizzino la vera radice alla base di queste minacce di tumulti sociali. Non pensare alle necessità incalzanti delle vittime è sbagliato.

 

Ma è  colpa ancora peggiore non fare i primi passi per risolvere i quattro grandi problemi che agitano la nostra società: l’informazione, l’educazione, il mercato e la ricchezza.Queste quattro grandi problematiche possono essere risolte solamente dal complesso della nazione filippina, in modo particolare con l’unità tra i benestanti e i poveri. Nelle quattro decadi passate, per le classi meno abbienti che rappresentano un quarto della popolazione, l’indice della povertà sta sempre più peggiorando. Mentre negli anni Ottanta si mangiavano due pasti al giorno, oggi è già difficile ottenerne uno soltanto.Nelle Filippine ci sono 20 milioni di contadini che vivono in condizioni disperate che cancellano ogni barlume di dignità e speranza. Si aprono così le porte a rimedi molto pericolosi.

Quelli di noi che sono abbastanza fortunati non dormono più sonni tranquilli con una tale realtà presente nella nostra società. Se non diventiamo più saggi e li aiutiamo, la situazione peggiorerà per tutti.

L’Economia di Comunione, la grande inspirazione di Chiara Lubich per un nuovo paradigma economico, afferma che i poveri possono aiutare se stessi, ma non da soli. Dobbiamo aiutarli a risalire la scala economica.

Apriamo le nostre menti alla realtà triste che ci circonda. Apriamo i nostri portafogli ed i nostri cuori. Apriamo le nostre case, e raggiungiamoli dove sono. È in gioco la nostra stessa sopravvivenza nazionale e il nostro sviluppo.

 

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