Route 66, un pezzo di storia americana
Mother Road, la strada madre l’aveva battezzata John Steinbeck inel suo libro – The Grapes of Wrath (Furore). Ma è solo uno dei nomi che nel corso dei decenni è stato affibbiato alla Route 66, la mitica highway statunitense aperta l’11 novembre 1926 per collegare Chicago, nel Midwest, a Santa Monica, la spiaggia di Los Angeles, in California. Una cavalcata di 2.347 miglia (3.755 chilometri), attraverso sette stati degli Usa: Illinois, Missouri, Kansas, Texas, Nuovo Messico ed Arizona per arrivare alla West Coast. Fino al 1938 il fondo era in terra battuta, e la Route 66 era parte di quel Dust Bowl (tazza polverosa) che vide, proprio negli anni trenta, molte famiglie di Oklahoma, Kansas e Texas spostarsi verso la California in cerca di opportunità di lavoro e di vita più rosee.
Oggi questa arteria mitica non esiste più se non in alcuni tratti, poichè inglobata nel sistema delle autostrada interstatali dell’amministrazione Eisenhower. Quindi la strada madre è scomparsa dalle mappe stradali degli States. E’ riapparsa recentemente, ribattezzata Historic Route 66 e percorrerla vuol dire respirare un pezzo della vecchia America, un mondo che non esiste più e che è fatto di vecchie Ford e Chevrolet, di pompe di benzina e di motels, di riserve di indiani, scene che in Europa siamo stati abituati a vedere nei films fra gli anni quaranta e sessanta. Per la gente dei piccoli paesi seminati lungo il percorso della 66 era uno dei segni della ripresa dopo la grande depressione che aveva ridotto alla fame milioni di americani. La Mother Road, infatti, aveva offerto non solo una via verso l’ovest, ma anche la possibilità di rinascita alle comunità locali.
Nel 1964 David Knudson attraversò l’intero percorso per raggiungere la California da Chicago. Era appena uscito dal college, senza un soldo in tasca e disoccupato, ma, come vuole l’immagine tipica dell’americano, con grandi sogni. Divenuto un uomo d’affari di grande successo, dopo trent’anni, nel 1994, ripercorse la strada, senza più trovarla sulle mappe stradali. Anche il segnale in numeri, che indica le autostrade americane, era scomparso. David e la moglie Mary Lou riuscirono a percorrere ugualmente quelle migliaia di chilometri, rendendosi conto che la 66 era stata inclusa, per alcuni pezzi, in una moderna highway e, per altri, completamente abbandonata. Le pompe di benzina, i garage dei meccanici, i piccoli motels erano in stato di completo degrado. Con loro rischiava di andarsene un pezzo importante del patrimonio degli USA. Da qui l’idea di fondare la federazione della Historic Route 66, a cui questa coppia ha devoluto tempo e fondi.
La federazione mira non solo a recuperare una strada, parte della storia degli USA, ma anche a rivitalizzare le comunità che si trovano sul suo percorso. L’amministrazione Clinton nel 1999 ha approvato la National Route 66 Preservation Bill, che ha stanziato 10 milioni di dollari per contribuire alla ricostruzione e alla manutenzione di proprietà storiche sul percorso della 66, fornendo alle comunità, che vivono in varie punti del percorso, la possibilità di rigenerarsi.
Ho percorso, quasi per caso, la Route 66, ora storica, per una centinaio di miglia fra Kingmen ed i pressi del Grand Canyon. E’ rivivere un pezzo della storia degli States, fermandosi alle vecchie stazioni di carburante, circondate da auto d’epoca, in piccoli ristoranti, spesso accanto ai motels dove si poteva passare la notte. In vari punti, ci si imbatte in turisti, come il gruppo di motociclisti, una quindicina, che mi hanno superato con Harley Davidson e Honda, subito dopo un piccolo centro e che ho incontrato dopo poche miglia in una vecchia stazione di rifornimento. Con grande sorpresa mi son reso conto che parlavano francese. Erano venuti dall’Europa per una cavalcata d’altri tempi sull’Historic Route 66, immortalata non solo dal Steinbach, ma anche dal celebre pezzo musicale (Get Your Kicks On) Route 66, composto da Bobby Troup nel 1946, successivamente riarrangiato da Berry nel 1961 e dai Rolling Stones nel 1964.
Ma la Route 66 nasconde anche un pezzo importante della storia recente degli States, quella dei fast-food, che ne sono probabilmente l’emblema più tipico. È sulla 66, infatti, a Springfield (Missouri), che si è aperto Red Giant Hamburgs, il primo drive-in, come pure il primo McDonald’s ha aperto i battenti a San Bernardino.
Per questo ripercorrere questa strada, anche per poche miglia, è respirare davvero un pezzo della storia dell’America, da non perdere perché è, a modo suo, patrimonio dell’umanità.