Rossini, Rossini!
Val la pena gridarne il nome, come faceva il pubblico eurepeo, impazzito dietro la sua musica negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Rossini era una star mondiale, ricchissimo, idolatrato e al limite dell’esaurimento, che gli fece abbandonare le scene a 37 anni (morendo a 76!). Prima però ci ha deliziato con una musica così scintillante, fresca, fantasiosa, mai ripetitiva, che credo sia uno degli artisti che l’umanità debba ringraziare di più. Perché di gioia e di serenità, oltre che di superiore visione dei drammi, egli ha dato frutti così abbondanti che non cessano di stupire.
Prendiamo le sue sinfonie, veri lavori a parte, più che introduzioni alle opere liriche, tanto da poter esser tranquillamente trasportate da un’opera all’altra. Il concerto tenuto il 17 scorso all’Auditorio della Conciliazione in Roma, diretto dall’energico Francesco La Vecchia con la fresca Orchestra sinfonica di Roma, ne ha dato una eccellente riprova.
Si è iniziato con La Cenerentola e finito col Guglielmo Tell, cioè con una sinfonia zampillante e una che è un vero capolavoro sinfonico preromantico, con cui Rossini chiude la carriera, ma alla grande: aprirà la strada a tutto il melodramma del secolo. In mezzo, Barbiere, Italiana in Algeri, Scala di seta – in quest’ultima le terzine dei violini fanno vedere e sentire la scala notturna con cui gli amanti si ritrovano –, e poi la marcia trionfale che apre (spaventosamente, all’epoca) la Gazza ladra, seguita da duetti fra archi e legni di sapida giocosità.
Fino alla monumentale Semiramide, che aprì nel 1823 a Venezia l’ultima opera “italiana” dell’autore, vera summa del rossinismo sinfonico e belcantistico. Si canta, molto, nelle sinfonie rossiniane, e ci si muove, dapprima spiritosamente nelle botte e risposte fra archi e legni ed ottoni, con assoli o impasti strumentali cordiali, e poi ci si mette in un tumulto che il celebre “crescendo” fa diventare non tanto un moto perpetuo, quanto il riso vitale del cosmo intero.
Nell’universo rossiniano i giovani dell’orchestra si son mossi come fossero a casa, con precisione puntuale degli archi, luminosità fra le diverse sezioni strumentali, fantasia sonora quasi eccessiva nelle percussioni, insomma gioia di vivere e di far musica, con un direttore che ama soprattutto la chiarezza. Non è poco. Bis scherzoso con Il signor Bruschino, divertimento per tutti. Ce ne fossero di concerti così…