Rossini forever

Al festival rossiniano di Pesaro due eccellenze: L’Inganno felice (musica saettante e colorita, equilibrata messinscena, cast davvero buono, direzione efficace) e lo Stabat Mater con il tenore René Barbera
Rossini festival

Conclusa a Pesaro il 22 agosto la XXVI edizione del Festival rossiniano e, in attesa del 2016 – dove si daranno La donna del lago (diretta da Mariotti), Il Turco in Italia e il Ciro in Babilonia –, una riflessione è d’obbligo. Il Festival cresce, si sviluppa e non demorde: il prossimo anno sarà guidato, a quanto pare, da Ernesto Palacio, gran cultore di voci rossiniane e si “riposeranno”, per modo di dire, i mitici costruttori della rassegna Gianfranco Mariotti e Alberto Zedda.

 

Anche quest’anno le eccellenze ci sono state. Ne presentiamo due. La ripresa, dall’edizione del ’94 con la regia di Graham Vick e le scene e i costumi di Richard Hudson, dell’opera giovanile L’Inganno felice. Un Rossini ventenne in una storia usuale di ingiustizia e poi di felice conclusione. Ma che musica, saettante e colorita, e che ritmo, ovviamente. L’edizione non è affatto invecchiata, anzi assai piacevole: una moderna equilibrata messinscena, a dispetto di tante attuali regie operistiche fuorvianti. Il cast era davvero buono: dall’Isabella scintillante di Mariangela Sicilia al Batone di Davide Luciano, un baritono napoletano di bellissima voce, sul timbro di un Bastianini e la direzione efficace di Denis Vlasenko.

 

Degno finale con lo Stabat Mater eseguita dall’orchestra del Comunale di Bologna guidata da Michele Mariotti. Osannato dal pubblico della sua città, il trentaseienne direttore agile, preciso, preparatissimo ha offerto una lettura del capolavoro puntando più sul lato drammatico che sul lieve, e mettendo quindi in luce le pagine di un Rossini all’epoca sofferente. Si spiegano così l’incipit fremente del coro e il finale gridato con quell’Amen lacerante; pure le fioriture belcantistiche tenorili del Cuius animam gementem parevano scintille meste come gli interventi del basso e delle voci femminili. Risultato: uno Stabat che più che all’eleganza- sempre viva in Rossini – punta a suggestioni che diremmo preverdiane. Buono il cast, in particolare il tenore René Barbera, dai fiati lunghi e dal timbro melodioso: sarebbe piaciuto a Rossini.

 

Sublime bellezza e raffinatezza nelle Danze dal Guglielmo Tell. Mariotti porta l’orchestra a suoni luminosi, colori di una trasparenza alla Tiepolo. Raramente si ode musica tanto bella, superiore forse alle stesse danze di un Verdi.

Come si nota, il Festival è vivo ed offre più di quel che promette.

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