Rosmini beato, finalmente
Sul suo letto di morte (1855) Antonio Rosmini replicò all’addoloratissimo amico Alessandro Manzoni, che lo stimava un santo, e gli chiedeva: E noi, cosa dobbiamo fare?, con le auree parole: Adorare, tacere, godere; nelle quali si vede, se non bastasse tutta la sua vita, l’opera filosofica e spirituale e la fondazione dell’Istituto della Carità, un cuore caldo e un carattere d’acciaio temprato alla più pura altezza spirituale. Disse anche: Mi trovo sospeso tra il mondo della vanità e il mondo della verità. Temeva che lo avessero avvelenato, ma se non l’aveva fatto uno in quel momento, molti lo avevano fatto negli ultimi anni in una persecuzione tra le più singolari perpetrate da uomini di Chiesa contro un santo. Pio IX (anch’egli beato, ma per altri motivi) voleva farlo cardinale e poi cambiò idea, seguiva i suoi suggerimenti politici intorno al drammatico 1848 ma poi cambiò idea; filosofi-teologi tanto cristallizzati quanto miopi, e ne taccio i nomi per carità di religione, lo accusarono di ontologismo (ma avrebbero dovuto accusare prima sant’Agostino, dal cui lumen mentis Rosmini derivava, passando per san Tommaso, il lume della ragione come dono e impegno dato da Dio ad ogni uomo); riuscirono a far mettere all’Indice Le cinque piaghe della santa Chiesa, opera precorritrice e fautrice del Concilio Vaticano II, e lo diffamarono; e lui salì così l’ultimo pendio, il più erto, del suo Calvario di gloria. Io lo chiamo tranquillamente san Rosmini (e vorrei vedere che un beato non sia santo e un santo non sia beato) anche per riscattarlo dall’ultimo inconsapevole affronto di qualche anno fa da parte di uno studente di terza liceo classico, che in un tema ebbe l’ignoranza di scrivere che Manzoni conobbe un certo Rosmini. E invece è venuto il tempo di dire alto che nella grande cultura italiana dell’Ottocento Rosmini è tra i quattro massimi con Foscolo, Leopardi e, appunto,Manzoni. L’editrice Città Nuova ha il merito non solo di pubblicare tutta l’opera, vastissima, del Roveretano, ma di aver edito due opere preziose anche se di diversissima mole: le duecento pagine che P.P. Ottonello ha dedicato ad una essenziale antologia dal titolo Rosmini – L’ordine del sapere e della società, facendo gustare al non specialista, sia pure in estrema sintesi, l’enorme sforzo riordinatore operato in molte migliaia di pagine dal sacerdote studioso – dalla metafisica alla cosmologia alla psicologia, dalla pedagogia alle scienze naturali e mediche, dal diritto alla morale alla politica, fino alla sintesi gran- diosa anche se incompiuta della Teosofia. E poi il Grande Dizionario antologico del pensiero di Antonio Rosmini (3776 pagine). Il compito filosofico-teologico che Rosmini si propose, confortato nel suo breve pontificato già dal papa Pio VIII, fu di riproporre intero e senza cercare una propria originalità il cuore della più ortodossa dottrina cattolica, ma (ecco la sua originalità di metodo) non più nella ormai inveterata, invecchiata condizione di separatezza dal moderno mondo culturale specialmente a-cattolico; invece andando a incontrare i pensatori e tutti gli uomini contemporanei là dove si erano allontanati dal centro del cristianesimo, perché, diceva, sono andati molto lontano. Si trattava di affrontare razionalismo, empirismo, idealismo e materialismo, liberalismo e soggettivismo, fino al nichilismo, non in chiave di pura condanna ma nella luce del richiamo dell’errore alla verità, valorizzandone le istanze positive pur deviate, e mostrando quella che chiamerei la carne della verità; perché Rosmini sentiva e pensava ogni parola alla luce di Cristo (scriveva Gesù sempre in lettere maiuscole), e sapeva ciò che oggi anche molti cristiani non sanno più; e cioè che senza un solido pensiero di fondo, una forte filosofia, la fede si sentimentalizza e rischia di svanire nelle emozioni (la fede non pensata è nulla, già diceva sant’Agostino), nelle opinioni, o nel mero tradizionalismo e infine nel verbalismo: ecco perché Rosmini scrisse tante parole (milioni) sempre a caccia di quelle adeguate a presentare non solo al cuore ma, anche e insieme, alla ragione, alla cultura, alla logica stessa più elementare, il Maestro: la fonte dell’essere e del vivere, del sapere e dell’amare. Rosmini sapeva bene che il mollissimo secolo aveva il corpo attillato voluttuosamente, e l’anima selvaggia, e non gli faceva sconti, pur con tutta la sua affabilità e carità, non certo mirando alla bestia che oggi seduce troppi, la popolarità bastarda ; quella che oscura i grandi come lui. Sapeva che nel discioglimento universale di tutti i legami (…) l’uomo si trova solo in mezzo agli uomini , mentre la disgregata società lo illude chiamando progresso ogni suo movimento, che può rivelarsi invece regressivo e distruttivo. Sapeva di dover incontrare ogni uomo nel suo smarrimento e nella sua desolazione spirituale e culturale, i luoghi più dolorosi della perdita di ragione e di fede. Per questo ha ricordato e dimostrato in mille modi filosofici e teologici che il nostro luogo è Dio.