Rosarno, tra violenza e sfruttamento
Continuano i disordini nella cittadina calabrese, dove gli immigrati hanno reagito violentemente al ferimento di alcuni di loro. Ma se l'uso della forza è da condannare, il disagio non può essere ignorato.
Quando la situazione raggiunge i limiti del sopportabile, bastano pochi teste calde ad accendere la miccia. È quanto è successo ieri a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dove gli immigrati impiegati nell’agricoltura – che spesso vivono in rifugi di fortuna e vengono sfruttati dai datori di lavoro – hanno reagito con la violenza al ferimento di alcuni di loro da parte di sconosciuti. Tra auto distrutte, cassonetti rovesciati e ringhiere di abitazioni danneggiate, le tensioni non sono ancora finite: questa mattina oltre duemila immigrati si sono riuniti nel centro cittadino, dove si sono verificati anche scontri tra alcuni cittadini di Rosarno e le forze dell’ordine.
In mezzo al clamore, voci che invitano alla calma arrivano soprattutto dalla Caritas locale, che conosce da vicino le condizioni precarie dei lavoratori stranieri. Don Ennio Stamile, direttore regionale della Caritas Calabria, parlando all’agenzia Sir ha affermato che, sebbene la violenza non sia mai giustificata, «quanto avvenuto mette in evidenza un problema grave, rappresentato dal disagio che vivono oggi gli immigrati non solo nella nostra Regione». Regione che, va ricordato, «è stata la prima in Italia a dotarsi di una legge per favorire l’integrazione».
«Evidentemente il disagio che gli immigrati soffrono in Calabria – ha aggiunto – spesso è causa dello sfruttamento a cui vengono costretti, che li porta a vivere una vita invivibile. Spesso quello che guadagnano non basta per vivere dignitosamente. Molti di loro hanno lasciato nei loro Paesi familiari che hanno bisogno, per vivere, dei soldi che arrivano loro da questi cittadini. E poi, non dimentichiamoci che non dare la giusta mercede a chi lavora grida vendetta al cospetto di Dio».
Don Stamile ha invitato a lavorare insieme sul fronte dell’integrazione: «Non basta l’impegno delle associazioni e delle realtà ecclesiali, che fanno tanto – ha affermato –, ma accorre un impegno serio da parte delle istituzioni e della politica. Bisogna partire dall’educare all’accoglienza e al rispetto dell’altro. E questo si può fare con il coinvolgimento di tutti».