Una Rosa Bianca per David Sassoli
David Sassoli. Ora che se ne è andato via improvvisamente nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 2022, vedi il profilo biografico su cittanuova.it, sono in tanti a rimpiangerne il tratto gentile e la sua sincera umanità. Quella dote che non si può improvvisare ma rivela un’ attenzione al prossimo maturata come scelta di vita.
Come hanno scritto gli amici e collaboratori più stretti sulla sua pagina Facebook ufficiale «si può vivere e morire in tanti modi. David Sassoli ha combattuto e lavorato fino all’ultimo possibile istante, informandosi, partecipando attivamente alla causa del bene comune con curiosità e passione indomabili».
Con la sua morte viene a mancare un punto di riferimento per tutti coloro che ancora cercano nel mondo politico qualcuno disposto a mettersi in gioco sulle grandi questioni della giustizia, dei diritti umani e della pace.
Grazie al rapporto stretto con Maurizio Certini e quindi al centro La Pira di Firenze, nei giorni vicini al Natale 2018 siamo riusciti a organizzare come Città Nuova un momento pubblico di confronto nella sede romana del Parlamento europeo sulla questione delle armi italiane inviate in Arabia Saudita per la guerra in Yemen.
Sassoli, assieme all’allora europarlamentare Silvia Costa, non si tirò indietro su un tema scomodo per la responsabilità del nostro Paese e la posizione contraddittoria assunta dal suo partito che in Europa votava le risoluzioni per fermare le armi destinate alla guerra ma in Italia frenava con i suoi ministri e sottosegretari. Rompendo con i riferimenti agiografici al sindaco santo di Firenze concordammo di inviare l’invito all’incontro con tale domanda: «A che serve citare La Pira se poi non fermiamo le bombe destinate a colpire scuole e ospedali nella guerra in Yemen?».
Prima degli interventi degli autori di una video inchiesta premiata da Rainews, di Toni Mira per Avvenire e Tommaso Di Francesco per il Manifesto, i due quotidiani che si sono esposti di più sul tema, l’attrice e regista Adonella Monaco lesse con grande intensità il testo di Giorgio La Pira del 1975 intitolato “L’era di Clausewitz è finita”. Sassoli per primo ne rimase scosso e offrì con semplicità la sua testimonianza di impegno dentro un contesto sociale e politico difficile, dove buona parte degli interlocutori non condividono le stesse urgenze. E dove sappiamo che contano i numeri della rappresentanza elettorale orientata spesso da un preteso realismo politico che giunge a relativizzare e negare la più ragionevole delle istanze.
È compito di una informazione libera e di una politica coerente cercare di dare spazio a chi è senza voce per svegliare le coscienze e ribaltare l’ordine ingiusto delle cose. Ma, come sappiamo, la conoscenza dettagliata e reiterata dell’iniquità non sempre spinge l’opinione pubblica e le singole persone verso questa direzione ma sembra, a volte, radicare la convinzione dell’inutilità del nostro agire di fronte a forze prevalenti e quindi si dirotta lo sguardo verso argomenti marginali o consolatori.
Per questo motivo bisogna riconoscere, al di là del prestigio che possono dare certe cariche, la grande umiltà chiesta a chi decide di fare politica conoscendo bene tali dinamiche e la tentazione della solitudine.
Sassoli è cresciuto all’interno di una grande scuola di vita e di pensiero che ha tra i suoi riferimenti i ragazzi della Rosa Bianca, i solitari giovani tedeschi oppositori al regime nazista, e la scuola di Barbiana.
Lo ha messo bene in evidenza nel suo discorso di insediamento come presidente del Parlamento europeo quando rivolgendosi ai colleghi delle diverse nazioni ha detto: «Io sono figlio di un uomo che a 20 anni ha combattuto contro altri europei, e di una mamma che, anche lei ventenne, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie. Io so che questa è la storia anche di tante vostre famiglie… e so anche che se mettessimo in comune le nostre storie e ce le raccontassimo davanti ad un bicchiere di birra o di vino, non diremmo mai che siamo figli o nipoti di un incidente della Storia. Ma diremmo che la nostra storia è scritta sul dolore, sul sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia, sul desiderio di libertà di Sophie e Hans Scholl, sull’ansia di giustizia degli eroi del Ghetto di Varsavia, sulle primavere represse con i carri armati nei nostri paesi dell’Est, sul desiderio di fraternità che ritroviamo ogni qual volta la coscienza morale impone di non rinunciare alla propria umanità e l’obbedienza non può considerarsi virtù».
Il desiderio di fraternità nasce, quindi, per Sassoli dal rifiuto della coscienza di rinunciare alla propria umanità e quindi spinge a non restare indifferente e prendere parte. Come dice Francesco ai movimenti popolari, è la fraternità che muove all’impegno per la giustizia sociale.
Sassoli è stato un mite ma non un “moderato”. Un suo intervento in memoria dello storico Pietro Scoppola ha dato il titolo, “Quando i cattolici non erano moderati”, di una raccolta di testi che rendono ragione di tale posizione che trova il fondamento nel “principio di inappagamento” indicato dal giovane Aldo Moro come caratteristica dei cristiani descritti da Scoppola quali «portatori di un annuncio che è motivo di continuo inappagamento rispetto ad ogni ordine costituito».
Nella sua vita Sassoli ha reso evidente quanto affermava in quell’insieme di contributi lo storico Paolo Prodi e cioè che «più siamo cristiani e più siamo laici» nella misura in cui «il cristiano non ha alcun idolo di riferimento» e perciò «può desacralizzare ogni forma palese e occulta di potere come sfruttamento dell’uomo sull’uomo e vincere ogni tentazione totalitaria nella misura in cui costruisce la storia della salvezza oltre la politica e non dentro la politica».
È con tale realismo che Sassoli era consapevole, come affermava, di non poter costruire la storia senza difficoltà e senza ostacoli limitandosi alle dichiarazioni.
Si coglie questa tensione nei video, rintracciabili su you tube, con cui manda un messaggio per il centenario di Chiara Lubich o dove si confronta con i giovani del Movimento dei Focolari sulle gradi questioni epocali a partire dalle migrazioni e dal rispetto dei diritti umani. Così come nel messaggio di risposta all’avvocato Alfio Di Pietro che dalla Sicilia ha lanciato un appello per il rispetto dei migranti confinati al gelo del cantone della Bosnia Erzegovina sul confine di ingresso dell’Unione europea che solo grazie a politici come Sassoli potrebbe uscire dalle sue inevitabili contraddizioni.
Così ha detto nel suo discorso di insediamento alla presidenza del parlamento europeo che avrebbe lasciato in questo mese di gennaio: «Sull’immigrazione vi è troppo scaricabarile fra governi e ogni volta che accade qualcosa siamo impreparati e si ricomincia daccapo. Signori del Consiglio Europeo, questo Parlamento crede che sia arrivato il momento di discutere la riforma del Regolamento di Dublino che quest’Aula, a stragrande maggioranza, ha proposto nella scorsa legislatura. Lo dovete ai cittadini europei che chiedono più solidarietà fra gli Stati membri; lo dovete alla povera gente per quel senso di umanità che non vogliamo smarrire e che ci ha fatto grandi agli occhi del mondo».
Ancora una volta un riferimento lapiriano “alla povera gente” come misura dell’azione politica. Lo stesso criterio che lo ha portato ad avanzare proposte per ridiscutere le politiche di austerità e di gestione di un debito pubblico contratto per fronteggiare l’epidemia ma che si scaricherà inevitabilmente sulle fasce più deboli senza scelte economiche alternative al dogma liberista.
Una lezione di vita che non può consumarsi nel rimpianto, ma generare nuove vocazioni politiche autentiche. Come si dice in una tradizione a lui cara “che la sua memoria sia di benedizione”
Qui di seguito il messaggio di David Sassoli per il centenario di Chiara Lubich