Ronconi ci lascia la saga dei Lehman
Ci ha lasciati all’improvviso Luca Ronconi, maestro indiscusso, forse l’ultimo, della scena del Novecento, consegnandoci un altro dei suoi memorabili spettacoli, da includere nella lunga lista di allestimenti realizzati durante la sua ricchissima carriera di uomo di teatro.
È un’autentica epopea la “Trilogia Lehman” di Stefano Massini, autore che ha imbastito dalle cronache un racconto potente. Un testo epico-narrativo che ha costituito per il regista un’ennesima affascinante sfida, abituato da sempre a tradurre per la scena testi impossibili e indefinibili. Ronconi si era già cimentato in altri suoi spettacoli col mondo dell’economia e della finanza (vedi “Inventato di sana pianta” di Herman Brock, o “La compagnia degli uomini” di Edward Bond). Ma con questo, emblema della disfatta del capitalismo rampante, compie una particolare impennata, forse vicino al capolavoro.
Per asciuttezza, ingegnosità e semplicità di messinscena, per leggerezza e sprazzi di comicità dentro un argomento molto serio. E per un cast strepitoso: Massimo Popolizio, Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, i principali interpreti. Era l’11 settembre 1844. A New York sbarcava Henry Lehman, ebreo della Baviera, figlio di un mercante di bestiame. In quel paese da sempre sognato lui e i fratelli Emanuel e Mayer, dal nulla costruiranno la loro fortuna. Da commercianti di cotone, del caffè, del carbone, a sovrani del ferro, delle ferrovie, del petrolio, del computer, fino alle banche e alla Borsa dei nostri giorni. Un impero che ha retto ogni tempesta finanziaria fino al 2008, anno della clamorosa bancarotta della Lehman Brothers, tra le più grandi banche d’affari, che ha portato a una crisi globale con le conseguenze che scontiamo ancora oggi.
160 anni di capitalismo, di trasformazione del concetto di mercanzia, attraverso una saga familiare ricostruita in cinque ore di spettacolo monumentale divise in due parti. La prima è centrata sui tre fratelli, la seconda sui loro figli e nipoti, con conflitti tra due eredi, uno tormentato, l’altro spregiudicato politico. Se i primi avevano ancora qualche barlume d’umanità, i loro discendenti diventeranno sempre più voraci in quell’illusione di fare soldi per i soldi, vittime della loro stessa spregiudicatezza.
Dai tempi rallentati a quelli vorticosi, al finale quasi fermo, con “Trilogia Lehman” Ronconi fa agire la parola, con gli attori che si raccontano, descrivono le azioni, parlano in prima e in terza persona, muovendosi su una scena che è una grande scatola bianca illuminata a giorno, con un orologio appeso, sedie che salgono e scompaiono da botole, tavoli che scorrono, e insegne che disegnano linee. Tutti abbigliati allo stesso modo con una tuta nera sopra il vestito, i personaggi si succedono fra continue entrate e uscite con l’ingresso nella seconda parte anche degli estinti che continuano a interferire coi vivi guardandoli vivere e agire. Senza poterne fermare la corsa infine distruttrice.
Al Piccolo di Milano, Teatro Grassi, fino al 15 marzo. Lo spettacolo verrà ripreso a maggio