Rompere le catene dell’usura

Difficile uscire dalla crisi se una massa crescente di persone è sommersa dai debiti. Come combattere questa gravissima piaga sociale

«Qui si vendono soldi». Negli anni ’80, uno degli esponenti della Banda della Magliana spiegava semplicemente, nel negozio di Campo de’ Fiori a Roma, la sua attività di usuraio. Niente di nuovo sotto il sole. È quello che accade anche oggi nel pieno della lunga crisi economica. Se un bene, come sono quei fogli colorati che escono da un bancomat, diventa scarso, il suo prezzo sale in fretta. E quando si chiudono tutte le porte, si bussa a quella proibita per “comprare” la moneta non concessa dalle banche e dalle loro numerose società specializzate (Agos Ducato, Findomestic, ecc.). La “creazione di denaro da denaro” continua a restare al centro del dibattito economico e impegna da millenni quello etico e religioso. In Italia esiste da 20 anni una legge, la numero 108 del 1996, che oltre a inasprire le pene per gli approfittatori fino alla confisca dei beni, fissa dei criteri per definire come usuraio l’interesse sui soldi dati in prestito. La “soglia” che non deve essere superata, in base al tasso effettivo globale, viene aggiornata ogni tre mesi con un decreto del ministero dell’Economia con riferimento ai diversi tipi di contratto. Fino a marzo 2017, ad esempio, la soglia si oltrepassa, su base annua, al 7,46% per i mutui a tasso fisso ma si alza l’asticella oltre il 24,35% in caso di credito revolving, cioè relativo a quelle carte di credito che permettono di saldare gli acquisti non al momento della compera ma in “comode rate mensili”. La legge del ’96 è importante ma presenta delle anomalie. Ad esempio l’articolo 14 prevede un Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura che resta accessibile solo a imprese e liberi professionisti ma non ai singoli privati e alle famiglie. Si tratta della possibilità di tornare a respirare accedendo a dei mutui a tasso zero per un periodo massimo di 10 anni. Sono caduti finora nel nulla i ricorrenti appelli all’estensione della Cassa avanzati dalla Consulta nazionale che rappresenta 28 fondazioni antiusura, nate in ambito ecclesiale e molto attive nell’utilizzare le risorse del Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura, previsto dall’articolo 15 della stessa legge. In questo caso lo stanziamento deciso, anno per anno, dal ministero dell’Economia e finanze (25 milioni di euro per il 2017), serve a offrire quella garanzia richiesta dalle banche per erogare finanziamenti alle famiglie e imprese altrimenti escluse. Solo il 30% del fondo può essere utilizzato dalle fondazioni, perché la gran parte va a rafforzare l’attività dei Consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi), forme di mutuo aiuto costituite dalle associazioni di categoria, come il primo consorzio nato tra gli artigiani romani nel 1956. Si stima che i 600 milioni di euro messi a disposizione dal Fondo di prevenzione dell’usura a partire dal 1998, siano serviti a mettere in circolo un miliardo e 900 milioni di euro per l’effetto moltiplicatore della fiducia tra le parti. Numeri che parlano di impegno e dedizione ma che impallidiscono se messi a paragone con il giro dell’usura che solo nel 2015, secondo l’Istituto Eurispes, ha movimentato 82 miliardi di euro.

Sono stati restituiti, cioè, 44,7 miliardi di euro a fronte della “vendita” di un capitale di 37,25 miliardi di euro, in gran parte (30 miliardi) richiesti da circa tre milioni di famiglie e il resto (7,25) dalle imprese. Una patologia così diffusa stenta ad essere diagnosticata perché le persone coinvolte hanno paura a comunicare la propria difficoltà e ne provano vergogna. Debito e colpa sono sempre associate nell’immaginario collettivo, tanto che chi comincia a denunciare perde di credibilità. Soprattutto quando indica, tra gli aguzzini, personaggi pubblici “rispettabili”. La lunga solitudine comincia con il sovraindebitamento, con il persistere cioè dello squilibrio tra banca e finanza (prestiti, acquisto a rate, carte di credito revolving, mutui, ecc.), 7,9 per bollette (luce, acqua, telefono, gas) e 4 dalla Pubblica amministrazione e assicurazioni. Una pressione costante che, sul versante dei tributi inevasi, ha fatto esplodere un forte movimento contro i metodi e i guadagni Equitalia fino alla annunciata riforma di questa società pubblica. La situazione è diventata così seria che è stata approvata una legge (la n.3/2012) cosiddetta “salva suicidi” perché prevede la possibilità di ristrutturare il debito in base alle reali disponibilità del cittadino che non può far ricorso alle regole del fallimento che sono previste solo entrate e spese mensili che genera un progressivo avvilimento, spesso non avvertito neanche dalle reti amicali e familiari nel momento in cui si potrebbe intervenire. Se ne accorgono invece le società di recupero credito. Il loro ufficio studi certifica, per il 2015, l’aumento dei ricavi e del numero degli addetti necessari per acquisire 58,9 miliardi di euro di debiti così distribuiti: 46,9 dal settore per alcune imprese. Una norma da far conoscere e perfezionare tecnicamente per salvare molte vite dalla disperazione, ma utilizzabile da coloro che hanno ancora beni da cedere o liquidare. Eppure non sono questi debiti ad aver messo in difficoltà le banche italiane. Non è colpa delle famiglie dei lavoratori licenziati e impossibilitati a pagare il riscaldamento di casa o le rate dell’auto per importi, spesso, inferiori a quelli del cumulo di spese legali, interessi e sanzioni. I crediti deteriorati (Non performing loans) che le banche non riescono a recuperare sono le cifre enormi concesse a grandi società insolventi, come ha rivelato Il Sole 24 ore a proposito dei 47 miliardi di Npl concessi dal solo Monte dei Paschi di Siena. Davanti a queste voragini, che lo Stato deve ripianare con miliardi di euro, il mancato accesso delle famiglie al fondo di solidarietà antiusura rappresenta una diseguaglianza “incostituzionale”, come ripete monsignor Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura. Nel frattempo, come sanno bene i lettori di Città Nuova, il mercato sempre aperto del “casinò Italia” divora chi è senza soldi facendolo cadere nelle mani degli strozzini. L’offerta ossessiva dell’azzardo “legalizzato”, ultima illusoria via di salvezza dalla povertà, ha sfondato i 94 miliardi di raccolta nel 2016. È questa la risposta dello Stato? Occorre un radicale cambiamento di prospettiva. Come afferma il sociologo Maurizio Fiasco, l’uscita dal debito irreversibile non rientra nell’assistenzialismo, ma rappresenta una misura di politica economica indispensabile per uscire dalla crisi.

www.consultaantiusura.it

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