Romero. La festa del popolo salvadoregno

La fedeltà ai poveri e al Vangelo di un pastore considerato “innocuo” dalle classi dirigenti. Il lungo travaglio del riconoscimento del martirio per odio alla fede arrivato finalmente con papa Francesco. Il significato attuale nel continente latino americano come segno di giustizia e pace
Romero

Il popolo salvadoregno è in festa. La notizia della firma di Papa Francesco sul decreto che riconosce il martirio per “odium fidei” di Oscar Arnulfo Romero, è corsa veloce di bocca in bocca, da una emittente all’altra, nei cellulari, nella web.  Lo stesso giorno i vescovi hanno fatto suonare a festa le campane di tutte le chiese di El Salvador, alle 6 di sera per manifestare il giubilo, per dire ad una sola voce grazie al santo Padre, alla Chiesa.

Da quando Jorge Bergoglio è diventato papa Francesco si è cominciato a sperare che un papa che conosce così bene le circostanze oscure dei regimi dittatoriali e le penurie dei poveri sfruttati dalle oligarchie dominanti, avrebbe sbloccato l’iter della causa, per altro già liberata dai sospetti di eresie dopo il passaggio per la congregazione della dottrina della Fede. Ne segue adesso la proclamazione solenne in data da stabilire, a San Salvador, probabilmente nella stessa piazza al cui centro un Cristo risorto eretto su un piedistallo rappresentante il mondo, ricorda l’opera redentrice del Salvatore.

Il Vescovo Romero era giunto alla sede arcivescovile di San Salvador nel  febbraio del 1977, in piena convulsione sociale e politica. La sua nomina era stata accolta con gran beneplacito dei settori dirigenti della capitale che lo consideravano un pastore innocuo alieno alle controversie del momento. Ben presto invece conobbero il volto intrepido del pastore che realizza la sua vocazione nel servizio ai deboli e indifesi, molti di loro vittime dello sfruttamento dei terra tenenti e dei padroni senza scrupoli. La voce di Romero si levò ancora più forte nella denuncia dei crimini contro i suoi sacerdoti e catechisti che a decine in quell’anno furono assassinati per mano degli squadroni della morte, accusati ingiustamente di incitare i contadini alla ribellione. Primo fra tutti Rutilo Grande, sacerdote molto caro a Romero caduto in una imboscata insieme a due contadini che l’accompagnavano. Erano passati appena due mesi dall’arrivo del vescovo alla sede arcivescovile di San Salvador e questo crimine costituì per il prelato il richiamo alla missione profetica del ministero, quella che lo porterà a denunziare con fermezza, con veemenza alle volte, le atrocità del regime dittatoriale, e lo sfruttamento dei poveri.

 «Avevo 14 anni e lo vedevo tutti i giorni celebrare la Messa (a P. Rutilio, ndr) – racconta Mons. Elias Rauda, attuale Vescovo di San Vicente – vederlo poi disteso nella sua bara (…) mi pareva che mi gridava: “mi hanno ucciso ma tu mi sostituirai”. (…)  Inviai una lettera a mons. Romero dove gli manifestavo il desiderio di farmi sacerdote (vocazione che avvertivo dagli otto ani) “mi aiuti” gli scrissi.  Lui mi rispose ed io saltavo dalla gioia, io un contadino, di un posto sconosciuto (…) a me scriveva un arcivescovo. Saltavo dalla gioia».

Per certi versi la figura di Romero è stata associata ai movimenti di stampo marxista presenti in tutto il continente. L’opera missionaria della Chiesa in quel periodo era attraversata da tensioni che oscillavano da una fedeltà genuina alle indicazioni del Concilio, di vicinanza ai poveri e gli ultimi, alla tergiversazione ideologica di chi riteneva legittima l’associazione con le bandiere politiche.  Di ciò si volle accusare Romero e le minacce sempre `più frequenti vollero silenziare la sua voce, fino all’uccisone avvenuta mentre celebrava l’eucaristia nella cappella dell’ospedale per malati terminali, in cui risiedeva, il 24 marzo 1980.

La Chiesa ora, dopo l’unanime parere degli esaminatori, invita i fedeli a scoprire la figura dell’apostolo di Cristo, votato alla causa del Signore, che la fedeltà al Vangelo spinge a dar la vita per i suoi, i piccoli, i poveri, gli ultimi.  Il martirio di Romero, dette senso e forza a molte famiglie salvadoregne che hanno perduto a familiari e amici durante la guerra civile che sopraggiunse spietata dopo la sua morte. E ancora oggi è un forte richiamo alla pace, alla fratellanza e alla riconciliazione di cui il popolo ha tanto bisogno.

 

 

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