Romeo e Giulietta, la sfocatura dei corpi

Sull’onda, da qualche tempo in atto, del recupero di un patrimonio coreografico della danza italiana che ha lasciato un segno nel tempo, si annovera anche il recente Romeo e Giulietta 1.1 di Roberto Zappalà. «Una revisione che è anche e soprattutto un rinnovamento», spiega il coreografo catanese. Al  Teatro Vascello di Roma per il festival Fuori Programma

Sull’onda, da qualche tempo in atto, del recupero di un patrimonio coreografico della danza italiana che ha lasciato un segno nel tempo, si annovera anche il recente Romeo e Giulietta 1.1 di Roberto Zappalà, il primo del progetto Antologia che prevede da parte del coreografo catanese la ripresa di altri suoi lavori che hanno segnato la sua ricca e importante attività. «Una revisione che è anche e soprattutto un rinnovamento», spiega Zappalà. E continua: «Cosa ci fa sentire sfocati, quando ci sentiamo sfocati? Tecnicamente la sfocatura è una questione di distanza. La distanza tra il centro focale dell’obiettivo e l’oggetto inquadrato. Se questa distanza è inferiore o superiore ad una certa misura l’oggetto risulta, appunto, sfocato. Riportando tutto ai due amanti di Verona ci sentiamo sfocati quando “percepiamo” che la distanza tra noi e il mondo, tra noi e l’amato non è quella giusta; quando la distanza che ci separa dall’essere amato è condizionata dal proprio essere nel mondo; quando siamo, ci sentiamo, crediamo di essere, troppo vicini, o troppo lontani. Siamo tutti Romeo e Giulietta».

La nuova versione si discosta da quella del 2006 oltre che nel primo titolo, La sfocatura dei corpi, anche nella scenografia, e, naturalmente, nei nuovi interpreti: superbi Maud de la Purification e Antoine Roux-Briffaud. Bastano solo i due innamorati a tracciare e sintetizzare la celebre storia d’amore attraverso i loro corpi vibranti, morbidi e tesi, ansimanti e impetuosi nel loro avvinghiarsi, distanziarsi e ricongiungersi. La narrazione è nei loro stessi corpi, dentro i moti del sentimento, nello scoprirsi e riconoscersi in quella messa a fuoco anzitutto dell’anima, prima che fisica, sulla scena inondata di nebbia e pulsante di penombre e di biancore, rotta da bagliori accecanti.

La partitura musicale è quella di Prokofiev, con un brano dei Pink Floyd, la canzone di Tenco Cara maestra, e la celebre Love me tender che è una tenera dichiarazione d’amore. Ma, soprattutto, c’è il suono pianistico di John Cage a fare da contrappunto ai movimenti del duo.

Emergono singolarmente dapprima ingenui nel loro gioco isolato – lei con una piccola bici, lui con una maschera subacquea –, poi man mano si stagliano nella consistenza di amanti, colti nel crescere irrequieto nello stare al mondo. È questo disagio intimo e sociale ad accomunarli. Ai pantaloncini e t-shirt colorati sostituiranno della biancheria intima color carne, spogliandosi pudicamente in controluce: una “nudità” che è metamorfosi dell’amore forte come la morte. Ad essa giungeranno in una sfibrante, appassionata sequenza di rotolamenti dentro rettangoli di luce cangiante, fino al quadrato finale della tomba. Che non segna la loro morte ma, in quel sollevare estatici le braccia e indicare col dito in alto, la rinascita a una nuova vita.

Coreografia e regia, luci e costumi Roberto Zappalà, musica Pink Floyd, Elvis Presley, Luigi Tenco, José Altafini, Mirageman, John Cage, Sergei Prokofiev, interpreti Maud de la Purification, Antoine Roux-Briffaud /Gaetano Montecasino, Valeria Zampardi, testi a cura di Nello Calabrò. A Roma, Teatro Vascello, il 18 luglio, per il festival “Fuori programma”; al Festival Orestiadi Gibellina (TP) il 10 agosto.

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