Romanzo Criminale
Crudele, notturno. L’ultimo lavoro di Michele Placido, tratto con alcune libertà dal grosso romanzo di Giancarlo De Cataldo, diventa, grazie alla sceneggiatura drammatica di Rulli e Petraglia, un affresco stringente e a suo modo epico di quindici anni di storia italiana: 1977-1992. Sarebbe solo una (ben fatta) storia gangsteristica ambientata tra la gioventù emarginata romana di quegli anni, se la passione civile del regista non la collocasse implacabilmente nella cornice degli anni di piombo, non ri fuggendo dalla teoria del grande vecchio burattinaio di vicende tormentate di quell’epoca, preludio al tempo inquieto in cui viviamo. La banda della Magliana è giovane, crudele, disinibita, ma sogna a suo modo una conquista di Roma, in cui non teme l’aggancio con ogni tipo di criminalità e di sopruso: di lei se ne servono i servizi segreti deviati in occasione del rapimento Moro, per poi scaricare quel manipolo di eroi negativi, non privi di barlumi di umanità. Il loro è un mondo tuttavia cieco in cui la fine violenta è ineluttabile. Placido insegue le diverse storie rifuggendo, quasi sempre, da cadute di stile o eccessi, per una narrazione più asciutta del solito, aiutato da un cast di ottimi interpreti fra cui Kim Rossi Stuart, algido e sensibile, Perfrancesco Favino, di cocciuta disumanità, Giammarco Tognazzi e una delicata Jasmine Trinca. Se il film presenta alcuni limiti, come il commento musicale talora invadente e i dialoghi in romanesco di non sempre immediata percezione, farà discutere la ricerca di una interpretazione storica che si vorrebbe equidistante (ma forse è impossibile) e che comunque può spingere a rivedere quel periodo da parte delle generazioni più giovani. Il film, nella sua atmosfera tesa e nella descrizioni incisiva del male morale, conserva un fondo pessimistico sulle vicende storiche del Belpaese, illuminate a tratti da alcune figure di purezza (Roberta, cioè Jasmine Trinca) o dai momenti di tenerezza cui si abbandona qualche eroe negativo. Per il resto, fa rivivere un malessere personale e sociale che sembra anelare in qualcuno, senza raggiungerlo, ad una possibile forma di felicità. Regia Michele Placido; con Kim Rossi Stuart, Anna Mouglalis, Pierfrancesco Favino. 62A MOSTRA D’ARTE CINEMATOGRAFICA A VENEZIA NON SOLO I LEONI L’attore e regista polacco Jerzy Sthur riceve il Premio Bresson dall’Ente dello Spettacolo. Abel Ferrara ottiene La Navicella – Sergio Trasatti. Marco Müller, direttore della Mostra veneziana, è soddisfatto. E con lui l’Ente dello Spettacolo – Rivista del cinematografo (che si avvia agli 80 anni).Per la prima volta un Patriarca di Venezia, nel caso Angelo Scola, visita la rassegna al Lido, all’Hotel Excelsior, nel bel padiglione dell’Ente, coordinato da don Dario Viganò (foto). Sarà il presule a consegnare il Premio Bresson a Sthur, 58 anni, coprotagonista di Persona non grata di Zanussi, in concorso al festival. Sthur, commosso, parla volentieri di sé, del suo lavoro. Ho iniziato il mio itinerario di artista di cinema – racconta con vivacità -, prima come attore, nel ’75, e poi dal ’94, come regista. Mi affascina questo mestiere, perché ho la possibilità di descrivere l’essere umano, nei suoi lati buoni e nelle sue debolezze, di difenderlo, in definitiva. Infatti, io cerco sempre nei miei film di lasciare una speranza, non mi interessa il cinema senza speranza. Ovviamente, Sthur conosce il pericolo di cadere nella retorica o nella didascalica, quando si insegue un progetto del genere. Certo – ammette – nel campo del cinema d’autore, che si occupa di rapporti umani (lui non ama dirigere film gialli o in costume, ad esempio ndr) ti senti spesso solo, in un deserto.Vivi nell’incertezza, perché non hai modelli di riferimento sicuri, come può accadere a chi fa dei film gialli. Nel mio caso, anzi, ci vuole il coraggio di mettersi a nudo, di confessarsi davanti al pubblico, col rischio di non sapere se il tuo discorso sarà convincente o apprezzato. Questo è forse il motivo per cui Sthur apprezza riconoscimenti come il Premio Bresson, un autore geniale che stima molto. Questo premio – afferma – è un gesto che mi dà una grande forza per poter continuare la mia ricerca. Il campo che si chiama essere umano non è mai esplorato del tutto: bisogna osservarlo bene, amarlo, è come trovare una luce nel tunnel. Parole appassionate di uno che ha dato la sua vita al cinema, sperando di servire l’Arte. Certo,Venezia ha sempre portato fortuna a Sthur: già nel ’97 è stato premiato il suo debutto come regista in Storie d’amore, poi un altro riconoscimento nel ’99 per Sette giorni nella vita di un uomo. Ora il Bresson ad un artista che, come ha detto il Patriarca Scola, punta a che la bellezza sia costruttrice della verità. Ed è forse la verità ciò che va cercando Abel Ferrara in Mary? A lui l’Ente ha conferito il premio Sergio Trasatti-la Navicella, come autore di un film dove si mostra come sia nel profano, nelle vicende che grondano sangue e portano ferite, il luogo della presenza divina. Così il suo film, ricercando l’assoluto, finisce per esaltare la speranza e la forza di una preghiera gridata e sincera.