Romania alle porte
Non esiste una sola Romania. Ne esistono varie, che si possono riassumere in due: quella dei ricchi e quella dei poveri. Nulla di nuovo, mi si dirà, anche se una nuova solidarietà sembra smussare le differenze: le gravi inondazioni che si sono accanite a più riprese sul paese hanno permesso al popolo rumeno di dimenticare per un momento l’instabilità politica e la precarietà economica per concentrarsi sul bisogno immediato. A Bucarest si è cercato di dimenticare lo stress di una vita sempre di corsa; nelle campagne si è messa tra parentesi la perdita dei raccolti; e nelle montagne sono le frane provocate dai recenti disboscamenti selvaggi a dover essere scordate. C’è chi sta peggio di noi, si sono detti in effetti i rumeni, evidenziando un lato forse insospettabile d’un popolo che per decenni si è cercato di sradicare dalla propria cultura e dalle proprie tradizioni, soprattutto dalla propria fede. Invano, perché il livello culturale della popolazione è ancora elevato, la ricerca scientifica migliora e la stessa industria si arricchisce di un’inventiva fantasiosa. Sarà un fenomeno passeggero, ma la gente che per strada si fa il segno della croce quando passa davanti a una chiesa è proprio tanta. E così coloro che porgono un soldo alle migliaia di mendicanti che girano per il paese. Non dimenticando le tante, piccole madri terese che si occupano di chi non ha più nulla o dei bambini abbandonati. E le rimesse degli immigrati crescono… E i poteri pubblici? Non si può dire che brillino per la loro iniziativa; ma non è che le finanze pubbliche navighino in buone acque. E così la gente si ritrova con i prezzi dell’Europa occidentale mentre gli stipendi raggiungono appena un decimo dei nostri. Un padre di famiglia quasi sempre è costretto a raddoppiare il suo lavoro. Di dare una mano di bianco alla casa, manco a parlarne. Nonostante tutto, l’economia continua a crescere, sfruttando il differenziale tra il loro costo del lavoro e il nostro. Lievita meno di qualche anno fa, ma continua a crescere, secondo le tappe di avvicinamento all’entrata nella Unione europea, prevista per il 2008, dettate da Bruxelles. Insomma, la Romania è alla porta dell’Ue e non solo; ma non è ancora nei club che contano. Di tutto ciò e di altro ancora parlo con Radu Vasile, uomo politico che per un anno circa è stato primo ministro, e che fu poi costretto a dimettersi per uno dei ricorrenti e improvvisi cataclismi politici che tanto danno portano al paese. Fu rimosso per la non accondiscendenza ai poteri forti. La situazione della Romania non è delle più floride, e i rumeni non hanno buona fama in Europa… Il deficit d’immagine della Romania all’estero è parzialmente ingiustificato. I difetti presentati come tipicamente rumeni, come la corruzione e l’instabilità democratica, sono in realtà condivise da altri paesi. La corruzione? C’è, inutile negarlo; ma non ai livelli che si vuol far credere. Il vero problema è la burocrazia, eredità del comunismo centralizzatore. È difficilissimo cambiare la mentalità dei burocrati in pochi anni, ben più di quanto non si possa addomesticare la crescita economica. L’instabilità politica? A ogni cambio di governo si sostituisce tutta la squadra. Il futuro? Solo l’ingresso nell’Europa potrebbe dare stabilità al paese. Debbo essere sincero: molti paesi dell’est europeo non erano e non sono pronti, perché i costi sono maggiori dei benefici ricavati. Ma non abbiamo scelta. La speranza non sta perciò nella classe politica, ma nei giovani. Petrolio e grano sono le ricchezze rumene: come fare a svilupparsi? L’economia, totalmente integrata nel sistema comunista, non ha conservato capacità di iniziativa privata. È quel che ci differenzia da paesi come la Cechia e l’Ungheria. Passato il comunismo, fino al 1995 tutto è stato bloccato. Il nostro petrolio, poi, è stato acquistato da una società austriaca: la produzione copre il 40 per cento del fabbisogno nazionale, ma abbiamo lo stesso prezzo della benzina dell’Italia. Stesso discorso vale per il potenziale agricolo. La soluzione è ancora l’Unione europea. Lo conferma il fatto che l’andamento congiunturale rumeno segue esattamente quello dell’Ue. Ma serve comunque un cambio di mentalità che solo le nuove generazioni potranno portare. C’è tristezza sui volti della gente… In generale i rumeni non sono un popolo senza gioia. La tristezza odierna dipende in parte dai gravi disastri naturali. Qualcuno, oggi al governo, sostiene che più che all’Europa, la Romania deve guardare a Londra e a Washington. Ma io dico che l’unica cosa che oggi ci lega agli Stati Uniti sono… le inondazioni! Da un anno l’amministrazione americana non si degna di nominare un ambasciatore a Bucarest… Abbiamo bisogni di un welfare state in Romania. Il sorriso tornerà se sapremo cacciare la mancanza di speranza e la disillusione; perché nessuno, finora, ha saputo mantenere le promesse elettorali. Il suo più bel ricordo da premier? È stato un periodo molto complesso, sia dal punto di vista politico che sociale. Ma conservo un ricordo indelebile: ho infatti accolto il papa nella sua visita. E poi con lui ho avuto quattro udienze… In quell’occasione si visse un momento di grande forza ecumenica. La Romania sarà chiamata a essere uno tra i primi paesi a conoscere l’unità della chiesa UNITATE, UNITATE!, DI NUOVO Intervista al patriarca Teoctist sulla Chiesa ortodossa di Romania, sulla difficile congiuntura del paese e sulle relazioni ecumeniche. Ha 91 anni, ma non li dimostra per l’energia che profonde nelle sue attività e per la lucidità dei suoi discorsi. Non ama leggere testi preparati; ama parlare all’impronta al cuore della gente. Assisto all’uscita del patriarca dalla Divina liturgia domenicale che ha celebrato per intero: un bagno di folla traboccante, in cui egli cerca di gettare uno sguardo d’amore e d’affetto su chiunque glielo chiede. Eppure nella sua vita il patriarca Teoctist ne ha viste di tutti i colori. Ha dovuto guidare la barca della Chiesa ortodossa rumena nel mare tempestoso del comunismo, e anche dopo la sua caduta. In quell’occasione fu accusato da alcune frange della sua chiesa di collusione col passato regime. Per non creare problemi, ebbe il coraggio di ritirarsi in un monastero. Ma ben presto la Chiesa ortodossa capì che non si poteva privare dei servizi di una personalità del suo calibro. Il patriarca mi riceve nel suo studio nel palazzo patriarcale con la sua consueta affabilità, dietro un’ampia scrivania ricoperta di libri, crocifissi e statue, di ricordi dei suoi viaggi. Sua beatitudine, il processo ecumenico in Romania a che punto si trova? Si conoscono i non pochi problemi con i greco-cattolici… Il processo ecumenico, nonostante tutto, nonostante i ritardi e le reticenze, è andato avanti. Non siamo riusciti ancora a realizzare tutto quello che abbiamo in cuore, ma siamo sulla buona via del coraggio e della perseveranza. Lo spirito che ha lasciato qui in Romania papa Giovanni Paolo II è tuttora vivo, e rappresenta una sorgente a cui stiamo attingendo ancora adoperandoci per la piena comunione tra le chiese. Lui che aveva definito la Romania giardino della Madre di Dio. Qui in Romania siamo una chiesa divisa, tra noi cristiani. Dobbiamo dare la prova che quando sembra di aver perso qualcosa è allora che ci si rialza. Quando ci si umilia si viene innalzati. È questo il paradosso eternamente vivo nella nostra chiesa, e che dobbiamo vivere anche nell’ecumenismo. Come definirebbe tale lavoro? Ognuno di noi rappresenta un dono per l’altro. Anche ogni chiesa lo è. Ma, in un modo o nell’altro, ognuna di esse porta in sé le stesse ferite di Gesù. Ad esempio, ogni volta che mi reco dal patriarca Bartolomeo a Istanbul, ma anche quando mi reco a Nicea, a Cesarea di Cappadocia… rivivo le ferite delle Chiese ortodosse. Rivivo la gloria di allora sulla quale si è intromesso il peccato e l’odio del mondo, separando non soltanto le chiese, ma dividendo anche l’anima dell’uomo. Lavorare nell’ecumenismo vuol dire intensificare il dialogo teologico, ma soprattutto ri-creare la chiesa delle origini, e cercare l’unità del mondo in Cristo. Si dice che il dialogo ecumenico si riduca allo scambio di belle parole… Gli incontri ecumenici sono spesso molto belli, le parole sono autentiche ed esprimono la verità dell’anima delle persone che le pronunziano. Ma se le parole restano chiuse dentro una sala, non si crea la città santa, quella sognata e intravista da Giovanni a Patmos: non si crea la città di Dio, la Gerusalemme celeste. Bisogna condividere tali parole con i nostri fratelli cristiani, e anche con i fedeli di tutte le religioni e le persone di ogni convinzione. Dobbiamo avere la forza dello Spirito Santo per edificare l’essere nuovo, l’essere del cristiano. La Romania sta vivendo momenti difficili. Come risollevarsi? Il paese si risolleverà tramite la preghiera, ma anche grazie all’attività e al contributo degli uomini di buona volontà e della chiesa nel suo insieme. Per me è molto incoraggiante costatare quanti soldi siano stati raccolti per aiutare le famiglie che hanno perso ogni cosa. Ciò mostra come la gente abbia un sottofondo di profondi sentimenti di amore e solidarietà. Quale insegnamento trarne? La sofferenza, lo sappiamo, porta non solo sentimenti negativi. Persone che avevano dimenticato l’esistenza del loro prossimo ora mostrano di essersi ravvedute. Anche la nostra chiesa non ha cessato di moltiplicare le proprie attività sociali per bambini, anziani e senzatetto. L’uomo è più forte del male che lui stesso produce e anche delle stesse forze della natura. Ha un sogno per la sua chiesa? Sia chiaro, noi non viviamo di sogni, anche se possono essere piacevoli e infondere coraggio. A noi rumeni la storia ha insegnato che Cristo è più forte di ogni sogno: è lui che sta conducendo la vita della nostra chiesa. RISOLVERE I PROBLEMI INSIEME Vescovi di diverse chiese, amici dei Focolari, riuniti a Bucarest. Gli importanti discorsi del patriarca Teoctist e l’incontro con la Conferenza episcopale cattolica. Dall’enorme Piata Unirii, la piazza dell’unione, due larghi viali salgono ai palazzi del potere. Di quello politico – l’enorme costruzione del Palatul Parlamentului, seconda solo al Pentagono, voluta da Ceausescu – e di quello religioso – il Palatul Patriarhiei, per decenni sede del parlamento. Proprio in questo palazzo, una costruzione imponente che racchiude lo scrigno della Biserica Patriarhiei, la principale chiesa rumena, viene ospitato dal patriarca Teoctist l’annuale convegno ecumenico di vescovi di varie chiese amici dei Focolari, il ventiquattresimo. Anche solo la lista dei quaranta partecipanti, di sedici paesi, dice la complessità dell’ecumene e le sue enormi potenzialità. Potenzialità. Sì, perché lo scambio di doni, il mutuo arricchimento che avviene in questo convegno lascia nel cuore dei partecipanti sentimenti di apertura e speranza. Commenta ad esempio il vescovo evangelico-luterano Herbener del Texas: L’unità già c’è, bisogna svelarla. Michelangelo diceva che il David esisteva già nel marmo, bastava liberarlo. Ebbene, ognuno di noi ha nelle mani un martello per incidere la pietra. Questi martelli sono il nostro amore reciproco che svela l’unità. Non a caso il lungo titolo del convegno – La presenza del Risorto in mezzo al suo popolo: centro della vita ecclesiale e fulcro della nostra comune testimonianza – pone al centro delle riflessioni dei vescovi il compito di rendere sempre più visibile la presenza di Gesù attraverso l’amore reciproco, come contributo indispensabile alla piena comunione fra le chiese. E non a caso, allora, il rapporto fraterno tra i partecipanti è la nota caratteristica dell’incontro, che vede alternarsi approfondimenti teologici e spirituali, testimonianze e celebrazioni liturgiche. Due conversazioni di Chiara Lubich evidenziano l’importanza di testimoniare la presenza di Gesù nella comunità. Lo scambio di doni si concretizza anche nel conoscere dal vivo, trovandosi in Romania, la caratteristica e ancora fiorente vita monasti- ca a Curtea de Arges, Bistrita e Horezu, la ricchissima liturgia e l’iconografia della Chiesa rumeno-ortodossa. Indimenticabile la Divina liturgia celebrata dal patriarca Teoctist, che, dopo l’omelia, dà la parola al card. Miloslav Vlk, promotore principale del convegno dei vescovi. Ma non mancano visite alle altre comunità cristiane (luterana, cattolica, riformata e anglicana) e la presenza alle rispettive celebrazioni: ogni chiesa con le sue caratteristiche, i suoi ritmi liturgici, le sue sottolineature, le sue lingue. E si svolge anche un incontro con l’intera Conferenza episcopale cattolica rumena, che riunisce i vescovi latini e quelli greco- cattolici. Il patriarca Teoctist presenzia alla giornata conclusiva, nell’Aula Magna della facoltà di teologia cattolica di Bucarest, con rappresentanti delle varie chiese e del mondo civile e politico. La testimonianza di giovani e adulti dei Focolari sul loro impegno tra i giovani, in famiglia, nella parrocchia, nella politica e nell’economia mostra un movimento che si mette al servizio del paese. Tra i 300 presenti si nota il nunzio apostolico Périsset e la Conferenza episcopale cattolica rumena. Un fatto importante per le parole che, in chiusura, il patriarca Teoctist pronuncia, col sapore della sorpresa e della profezia: Vediamo che il mondo si allontana sempre di più da Cristo e manca l’amore; e costato, purtroppo, che siamo ancora lontani dal momento in cui potremo testimoniare insieme che serviamo totalmente la Parola del Salvatore nostro Gesù Cristo. Amiamoci gli uni gli altri per poter testimoniare lo stesso pensiero: è una parola che ci riscalda sempre. Il patriarca si rivolge quindi in particolare ai vescovi presenti: Ascoltando i racconti dei giovani e degli altri fratelli e sorelle che hanno parlato – dice -, pensavo a come sarebbe proficuo se anche noi, vescovi, e le nostre chiese provassimo a rivedere nello stesso modo uno per uno tutti i problemi che ci amareggiano. E lo dico con la massima sincerità, perché davanti a me ho i vescovi greco-cattolici, nel rapporto coi quali noi, Chiesa ortodossa rumena, riconosciamo che siamo lontani dalla giustizia e dalla verità, soprattutto dall’amore di Cristo. Proviamo, secondo l’esempio di questi giovani, a trovare anche noi delle vie per risolvere i problemi che ancora abbiamo. Se lo vogliamo, possiamo farlo. Un lungo applauso sottolinea l’adesione del pubblico, ben conscio delle questioni non ancora risolte in Romania tra i greco-cattolici e gli ortodossi, problemi legati ai beni ecclesiastici da ridistribuire dopo il regime comunista. Riecheggia il grido popolare Unitate, unitate! che aveva accompagnato nel 1999 l’abbraccio tra il patriarca e papa. Un forte segno di comunione è la solenne celebrazione cattolica nella cattedrale di San Giuseppe, durante la quale si alternano i canti del coro cattolico e quelli del coro degli studenti ortodossi della facoltà teologica di Cluj. E stupisce non poco i presenti la processione non solo dei vescovi cattolici, ma anche di altre chiese. Voi che avete vissuto fra noi questa settimana – dice nell’omelia l’arcivescovo di Bucarest Ioan Robu -, siete per noi una sorgente di vita, di idee nuove. Questa è una vera speranza per l’unità