Roma, referendum Atac tra partiti e comitati
Continua la nostra analisi dopo quanto già pubblicato nella prima parte
Pd per il SI
Parte del Partito democratico è stata subito d’accordo con i radicali. Molti esponenti, come l’ex candidato sindaco Giachetti, provengono da quell’area liberista e libertaria. Ma a favore della liberalizzazione si è espresso anche Walter Tocci, uno dei maggiori esperti di trasporti capitolini e referente del Centro Riforma dello Stato, storico pensatoio di sinistra. Alla fine la maggioranza degli iscritti chiamati a raccolta, circa 3.500 tesserati si è espressa per il SI.
Tocci vede molte anomalie nel piano di risanamento di Atac predisposto dalla giunta pentastellata, paventando l’apertura, a breve, del fallimento vero e proprio con la conseguente cessione ai privati del servizio e delle strutture. Errato e controproducente, ad esempio, sarebbe la vendita dei depositi dell’Atac per ripagare i debiti perché l’introito è molto basso e finisce per favorire gli interessi delle società immobiliari.
L’ex assessore dell’era Rutelli distingue tuttavia la produzione del trasporto, che va affidato a gara anche in più lotti, dalla gestione del servizio in mano pubblica esercitato da un’Atac snellita e trasformata in agenzia fortemente specializzata, che decide e controlla, ad esempio, l’estensione delle linee e le tariffe. Una modalità che permetterebbe, a suo giudizio, di alleggerire la struttura da un buon numero di dirigenti di nomina partitica.
L’amministrazione 5 stelle
La giunta Raggi, da parte sua, ha presentato, assieme al presidente ad dell’azienda Paolo Simioni, i risultati di Atac dei primi 6 mesi del 2018 dai quali emerge, per la prima volta, un utile di 5,2 milioni di euro. Un segnale della bontà del piano di risanamento per la sindaco, poco più di un artificio contabile per i suoi detrattori. Sono annunciati, tra l’altro, per aprile 2019 ben 227 bus, acquistati tramite piattaforma pubblica Consip, e altri 250 nel 2020 e 2021, anno in cui scadrà la proroga dell’affidamento del trasporto pubblico ad Atac approvata dal consiglio comunale nel gennaio 2018.
Andrea Guaricin dell’università Bicocca di Milano, tra gli economisti più esposti a favore della liberalizzazione del servizio ora gestito da Atac, ha più volte indicato il costo del personale tra le voci da tagliare considerando che i circa 12 mila dipendenti rappresentano oltre il 50 per cento dei costi di produzione.
Non può quindi sorprendere la posizione opposta delle sigle sindacali. Anche se queste sono indicate tra i responsabili della gestione consociativa e dissipativa dell’azienda (si pensi allo scandalo della parentopoli dell’era Alemanno), i lavoratori lamentano comunque il dispendioso affidamento a società esterne di molte attività gestibili all’interno.
Comitati per il NO
Diverse realtà associative si oppongono al referendum promosso dai radicali sulla “concorrenza/privatizzazione” del trasporto pubblico romano. Tra queste il comitato Atac bene comune che ha in Paolo Berdini uno degli esponenti più noti. Tra i maggiori urbanisti della Capitale, è stato, da esterno, per alcuni mesi assessore della giunta Raggi fino alla rottura clamorosa sul caso dello stadio della AS Roma a Tor di Valle.
Berdini fa notare che a Roma che la “concorrenza” nel servizio di trasporto esiste già da 18 anni con l’affidamento alla società TPL delle “Linee Periferiche” del comune per circa 28 milioni di km l’anno( circa il 20% del servizio di trasporto su bus). Un esperimento niente affatto virtuoso ed efficiente. Parliamo infatti di una città con «una gigantesca espansione e frammentazione urbanistica» a bassa densità abitativa. La speculazione cioè ha costruito quartieri senza servizi in zone lontane tra loro e il centro, con la conseguenza di ingolfare il traffico su gomma al quale si aggiungono altre 800 mila persone che ogni giorno arrivano a Roma dal vasto hinterland dei comuni limitrofi.
Nella sostanza, secondo Berdini, restano valide le ragioni di un altro referendum, quello promosso nel 1909 dal sindaco Ernesto Nathan per sottrarre ai monopolisti privati dell’epoca, intenti solo a far profitti, il servizio del trasporto pubblico.
Il NO al referendum, in tale prospettiva, costituisce la premessa per una radicale trasformazione della inaccettabile situazione attuale dell’Atac. Tra le priorità vi è quella di «togliere il potere delle nomine del management della società –e di ogni altra azienda pubblica- alla politica per collocarla ad organismi terzi indipendenti» e di chiudere il rubinetto dei soldi dispersi tra la «galassia delle società esternalizzate» e di una miriade di società interne all’Atac mal collegate tra loro.
Secondo Berdini, credere di risolvere il problema del trasporto pubblico con la sua liberalizzazione è solo una illusione che ignora il problema strutturale costituito «dal cartello dei proprietari delle aree che ha imposto un assetto urbano frammentato e privo delle infrastrutture di trasporto su ferro che vengono invece richieste preliminarmente in ogni altra capitale mondiale». Roma ha infatti solo 31 chilometri di rete tramviaria rispetto ai 170 di Milano che ha una superficie comunale sette ci volte più piccola di Roma.
Berdini e tanti altri comitati invocano una visione pubblica che, liberata dai condizionamenti lobbistici e clientelari, può ancora risollevare un servizio di trasporto attento non a fare cassa ma alle necessità della popolazione.
È chiaro che tutto ciò va oltre il risultato del referendum che, comunque sia, rappresenta l’occasione di un discorso da aprire e non da chiudere dopo domenica 11 novembre.
Qui la prima parte dell’articolo