Roma, la festa è partita
Gente che va e viene, tanti ragazzi e giovani. Certo, c’è la sezione Alice in città che vede i bus trasportare le scuole, ma c’è anche una folla di appassionati e giovani critici di cinema sui siti online, per lo più, che attendono in lunghe code di entrare in sala. È l’altro pubblico, semplicemente, oltre alle famiglie con bimbi piccoli, quello che ama il cinema.
Nonostante il cronico ritardo molto “romano” e una certa disorganizzazione iniziale, la festa è partita. Il tappeto rosso funziona: le nostre piccole star – sia detto senza offesa – e le vere star, da Cate Blanchett a Isabelle Huppert che poi si sono “donate” con assoluta franchezza negli incontri col pubblico, momenti di vera partecipazione collettiva, molto più del rituale in sala con gente benvestita ed omaggi cerimoniosi.
Lo si è visto alla presentazione del noir parecchio “tarantiniano” di apertura Bad Times at the El Royale di Drew Goddard, che strizza l’occhio anche alla storia di Charles Manson e amici. Girato benissimo, con un Jeff Bridges strepitoso nei panni di un falso prete-bandito con l’Alzheimer (mentre i belli Dakota Johnson e Chris Hemsworth sono due hippy solo “belli”), funziona da noir perfetto nell’hotel tra la California e il Nevada dove tutti hanno qualcosa da nascondere, che però verrà rivelato. Non sarà un capolavoro, termine oggi abusato, ma è un buon prodotto, dove si fa strada, tra la violenza, la necessità di chiedere e ricevere perdono, una nota originale che non guasta.
Naturalmente, c’è posto anche per la favola “nera” e “goticissima”,con Cate Blanchett deliziosa, inafferrabile strega in The House with a Clock in its Walls di Eli Roth, dove l’orologio maledetto scandisce il tempo dell’apocalisse. Ci vuole un ragazzino orfano, Lewis, adottato dallo zio mago, per dar battaglia al diavolo e ai suoi mostri. L’eco di Harry Potter si sente, ma il film è gradevole e di un humor nero simpatico.
Cose molto serie
Ci vuole un autore come Krzysztof Zanussi e il suo Ether per spingere la festa nel festival. La storia del medico-scienziato polacco che sperimenta sulle persone gli effetti nefasti dell’etere, vendendo l’anima al demonio, ripercorre quella di Faust e dell’eterno problema della lotta tra bene e male, Dio e satana che confonde e inganna l’uomo. Il film è bello, stringente, riflessivo senza annoiare. Andrebbe visto, ma arriverà mai nelle nostre sale? Il dottore, ambiguo e razionale, antesignano dei medici nazisti, alla fine si arrenderà alla verità, che è ben al di sopra di qualsiasi prova scientifica? E quale sarà la fine dell’uomo che ha fatto il patto col nemico? Dramma in atti con un epilogo morale (forse non necessario), il racconto è molto denso e pone, a chi lo vede, diversi interrogativi.
È quanto accade anche nel docu-film di Michael Moore Fahrfenheit 11/9. Spiazzante, duro nel rivelare i retroscena dei partiti americani, l’ascesa di un personaggio amorale come Trump verso cui il regista non fa sconti, le omissioni dello stesso Obama. Si esce con la convinzione che le Americhe siano tante, che i problemi siano devastanti molto più di quello che ci fanno sapere, e che la democrazia americana dati solo dal 1970 con la libertà di voto per i neri. Di più, preoccupa la crescita di un razzismo violento e sovranista, che sta facendo parecchi seguaci anche da noi. Per riflettere.
Per finire con eleganza
È Robert Redford, che dà l’addio alle scene attoriali in The old man & the Gun di David Lowery. Se volete fare una passeggiata con il grande Robert, dalla giovinezza ad oggi, guardate questo film leggiadro in cui lui è un vecchio furfante gentiluomo evaso 16 volte dal carcere (storia vera), che piace alla gente e fa impazzire la polizia. Bob mescola le foto del ladro alle sue, rivivendo personaggi del suo passato su quella sua faccia grinzosa e sorniona, con lo sguardo divertito di uno che oggi vuole, come il suo personaggio, soprattutto vivere. Gran bel film, ilare e sorridente.