A Roma la Festa-Festival

Si è aperta con il film “Il colibrì” l’edizione numero 17 dell’evento nella Capitale. Ritorna la gara con 16 autori emergenti
colibrì

Ci sono le scolaresche, vivaci come sempre nella sezione davvero più innovativa, ossia Alice in città. Ci sono i giornalisti, c’è il red carpet dove i divi e le dive nostrane e non si esibiscono, ci sono le masterclass. E ci sono i film. In un evento che è da anni alla ricerca di una propria identità – non più in concorrenza con Venezia – si ritorna, grazie alla direttrice artistica Paola Malanga e al presidente Gian Luca Farinelli (il nuovo tandem) al vecchio Concorso. Viene definito Progressive cinema, affidato ad autori indipendenti, punta al realismo nei diversi generi con 16 opere di cui sette italiane. Ha aperto un film non in concorso, cioè Il colibrì di Francesca Archibugi dal romanzo di Sandro Veronesi. Lavoro difficile, amplificato dai numerosi flashback, recitato stupendamente da un cast molto scelto – Favino, Morante, Smutniak, Béjo, Nanni Moretti nella parte di sé stesso come psichiatra –, e racconta la storia di una famiglia borghese attraverso le vicende di Marco Carrera, il protagonista, un uomo che come il piccolo colibrì rimane sempre fermo di fronte alle disgrazie della vita. Le sue vicissitudini sono drammatiche: l’amore per una ragazza della giovinezza che dura, platonicamente – una libera scelta –, tutta la vita, un matrimonio infelice con una donna folle, i suicidi che costellano la famiglia, il contrasto con il fratello.

È un film sulla morte, in definitiva, davanti alla quale Marco, abituato a star fermo dinanzi agli eventi, abituato ai suicidi, decide anch’egli di togliersi la vita: calmo, con i propri cari vicini, di fronte al mare. Nessun riferimento spirituale o religioso. Il dolore viene rimosso o accettato o irrisolto in un universo dignitoso ma alla fine privo di speranza. Si può solo piangere – la scena dell’eutanasia è molto forte – e non si è consolati. Ognuno è terribilmente solo nel nostro mondo occidentale. Marco ha paura del dolore, perciò decide di morire, uomo del nostro tempo, forte mentre la fragilità nel film è soprattutto femminile.

Il film, molto ben fotografato, conta momenti assai belli come il discorso di Marco ai suoi amici giocatori d’azzardo sulla “miseria” delle loro vite, il rapporto con la nipotina, l’ingenua giovinezza. Tuttavia risulta freddo, implacabile, duro, pur con alcuni barlumi di momentanea felicità nell’amore.

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