Roma, dissenso sul piano nomadi
La Comunità di Sant'Egidio esce dal tavolo di concertazione
«Un triste gioco dell’oca»: così la Comunità di S. Egidio definisce il trasferimento forzato in un centro profughi di alcune famiglie con 74 bambini nati in Italia dal campo nomadi di Salone. Secondo la Comunità, «si tratta di persone che abitavano in un campo attrezzato, controllato con telecamere e sorveglianza 24 ore al giorno. Quindi non c’è nessun motivo reale di trasferimento al Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), struttura pensata per accogliere profughi giunti in condizioni precarie in Italia». La decisione inciderà anche sull’educazione dei bambini, che avrebbero potuto continuare ad andare regolarmente a scuola se non fossero stati trasferiti. Nel comunicato diffuso da S. Egidio si segnala inoltre che «il trasferimento al Cara fa passare i Rom, che nel campo pagavano le utenze e il loro sostentamento, a totale carico dello Stato» e che «al contrario di ciò che è stato affermato dal Prefetto, il trasferimento non è avvenuto in accordo con i Rom che sono stati minacciati di esecuzione forzata, tanto che hanno fatto ricorso ai loro avvocati». A preoccupare la Comunità, che da oltre 30 anni lavora al fianco dei rom, è ora lo sgombero del campo Casilino 900, che – si teme – avverrà con le stesse modalità. Per queste ragioni, unite alla «non considerazione per lungo tempo di una serie di proposte sul piano nomadi fatte dalla Comunità», S. Egidio ritiene che manchino i presupposti del dialogo, ed è quindi uscita dal Tavolo Rom istituito dal Comune di Roma per discutere il piano nomadi con le associazioni cattoliche. Le altre associazioni componenti del Tavolo – Acli, Caritas, Centro Astalli e Compagnia delle Opere – hanno invece scelto di rimanere nonostante queste perplessità, per poter comunque ottenere qualche frutto dal dialogo e dalla collaborazione.
Città Nuova_Italia_2010/01/20