Roma di Chiara
Se Trento è stata la “culla” dei Focolari, la tappa successiva è rappresentata da Roma. Per la sua vocazione cosmopolita, la Città Eterna costituiva il necessario trampolino di lancio per l’espansione mondiale del movimento; e quale centro della cristianità doveva dare il suggello della gerarchia ecclesiastica a questa nuova opera sorta in seno alla Chiesa. E come nel capoluogo trentino si ricordano personaggi e sono indicati luoghi legati alla nascente comunità focolarina, altrettanto, se non di più, offre la Città Eterna, dove Chiara Lubich ha soggiornato più o meno stabilmente dal 1949 al 1965 prima di trasferirsi a Rocca di Papa. A Roma fanno riferimento molti suoi scritti, come uno tra i suoi più noti: «Se siamo uniti, Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più d’ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma…».
Ecco quindi un itinerario in quella che si può definire la “Roma di Chiara”.
Palazzo Montecitorio
Presso la sede della Camera dei deputati, il 17 settembre 1948 Chiara incontra l’onorevole Igino Giordani, che sentendola parlare della rivoluzione evangelica in atto a Trento, ne rimane travolto. A lei Giordani chiede di mettere per iscritto quanto ha esposto per pubblicarlo su Fides, rivista da lui diretta: è il suo modo per non perdere i contatti. Col nome di battaglia di “Foco”, egli diverrà il primo focolarino sposato, tra i più stretti collaboratori di Chiara. Essenziale il suo contributo all’incarnazione nel sociale dello spirito dell’unità. Il Parlamento suggerisce a Chiara una riflessione: «Sono questi i tempi in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare al di là; è arrivato il momento in cui la patria altrui va amata come la propria (…)».
Via Poli
In questa traversa di via del Tritone, al n. 29, c’era la redazione de La Via, altra rivista diretta da Giordani, il cui primo numero esce il 29 gennaio 1949, un anno che rimane nella storia del movimento come un periodo di particolare intensità mistica. Dopo un soggiorno sulle Dolomiti, primo di una serie di appuntamenti estivi annuali, Chiara decide di stabilirsi definitivamente “all’ombra del Cupolone”, anche per rispondere alle incessanti richieste di quanti desiderano approfondire la spiritualità focolarina. L’Urbe, la sua missione nel mondo di ponte verso l’universalità, suscita nel suo cuore la passione per una Roma che non viva per sé, ma si faccia coinvolgere nell’avventura dell’unità.
Ma l’immagine desolante che presenta la Capitale in questo dopoguerra, nel faticoso ritorno verso la normalità, è ancora lontana da tale disegno. Urge per essa una vera rinascita. «Gesù va risuscitato nella Città Eterna ed immesso dovunque. È la Vita e la Vita completa. Non è solo un fatto religioso…». Questi e simili concetti espone in un memorabile articolo apparso su La Via di ottobre, intitolato appunto “Risurrezione di Roma”.
Garbatella
Fino al 1949 Chiara e le altre focolarine, in mancanza di un alloggio fisso, hanno usufruito dell’ospitalità di persone amiche. Finalmente, dall’8 dicembre di quell’anno viene offerto loro un appartamentino nel popolare quartiere della Garbatella, in piazza Oderico da Pordenone n. 1. Questo, che è il primo focolare della Capitale, «diventa presto un vero e proprio punto di attrazione per tanta gente – scrive Maria Caterina Atzori –. Vi arrivano giovani e meno giovani, seminaristi, sacerdoti, signore, signori, sposati e non sposati. Anche il deputato Igino Giordani – divenuto ormai “Foco” – è di casa. (…) Si incomincia a prendere l’abitudine di andare a messa tutti insieme. Tutti sono attratti da quell’Ideale che Chiara continua a raccontare. Tant’è che nessuno va via da quell’appartamento, neppure all’ora di cena. Allora si allunga con acqua e sale la minestra finché c’è per tutti».
Via del Mazzarino
Al n. 16 di questa traversa di via Nazionale ha sede la curia generale dei padri stimmatini, accanto all’antichissima chiesa di Sant’Agata dei Goti. Chiara qui viene a incontrare padre Giovanni Battista Tomasi, primo assistente dato al movimento dall’arcivescovo di Trento. Così ne parla Renata Borlone: «Non ho mai dimenticato il suo volto buono, gli occhiali di stampo antico, due piccoli cerchi di filo di ferro, e il fazzoletto rosso sporco di tabacco che ogni tanto amava annusare, forse ultimo retaggio di vecchie abitudini prese nella solitudine in cui l’aveva relegato l’età insieme al cessare di importanti incarichi (era stato infatti generale dell’Ordine). Mi colpiva a volte la limpidezza dei suoi occhi, il sorriso innocente, le domande rivolte con semplicità come uno che ha tutto da imparare e che se fa qualche obiezione ha però la certezza che all’interlocutore non mancherà una risposta sicura e convincente».
Padre Tomasi muore il 2 gennaio 1954. «Fu per noi Chiesa madre», dirà Chiara di lui, ricordando il suo valido sostegno nei primi anni dell’inchiesta avviata dal Santo Uffizio (ora Congregazione per la dottrina della fede) per accertare l’ortodossia del movimento: studio iniziato nel 1950 e che si protrarrà fino al 1962.
Via Tigrè
Intanto il focolare di Chiara si è spostato in via Tigrè n. 1, nel “quartiere africano”, al piano attico di un condominio. Qui nel novembre 1953, in occasione della consacrazione a Dio di una sessantina tra focolarini e focolarine, Igino Giordani magnifica la sublimità dello stato verginale, lui che è sposato e padre di famiglia. In risposta, Chiara spiega quello che vale: amare e non tanto l’essere vergini o sacerdoti; e propone anche a lui di suggellare con un voto (poi “promessa”) la propria donazione a Dio. «Foco da quel momento non è rimasto solo – racconterà lei in seguito –; subito ha avuto seguaci per questa strada». È il superamento della secolare separazione tra vergini e sposati nel cammino di santità.
Qui, nel settembre del 1954, Chiara ha alcune intuizioni su un nuovo ordinamento da dare al movimento in continuo sviluppo: «Paragonando la nostra vita che è amore, carità, alla luce naturale che si scinde nei sette colori dell’arcobaleno – racconta Palmira Frizzera –, ha capito che anche la nostra vita avrebbe avuto infinite espressioni, che lei vedeva riassunte in sette»: dall’economia all’apostolato, dalla preghiera alla salute, dall’ambiente allo studio, alla comunicazione. Ognuna di esse concretizzazione, nel suo specifico, dell’unico amore che è Dio.
Via Valnerina
Da via Tigrè, nel 1955 Chiara trasloca in un appartamento in via Valnerina n. 58 (ingresso secondario in piazza Palombara Sabina n. 13). Vi rimarrà per un decennio. Per lei sono anni di grandi sofferenze spirituali (minacce di scioglimento del movimento) e anche fisiche (incidente automobilistico del maggio 1957), ma anche di grandi gioie (udienze papali e prime approvazioni, culminate con quella definitiva del 2 dicembre 1969), anni di sviluppo, di viaggi, di irradiazione in altri Paesi e abbondanti frutti apostolici (esplosione dei convegni estivi o Mariapoli, contatti con personalità carismatiche, missione Oltrecortina a favore della “Chiesa del silenzio”, apertura all’ecumenismo, nascita della stampa del movimento, fondazione della cittadella di Loppiano…). «Il salone di via Valnerina – ricorda Eli Folonari – in occasione del Natale vedeva riuniti attorno a Chiara tutte le focolarine e poi i focolarini di allora. Talvolta lei stessa intratteneva gruppi di bambini sul grande terrazzo».
Via Gaetano Capocci
Il 14 luglio 1956, durante la Mariapoli di Fiera di Primiero, nasce Città Nuova: 90 copie tirate con un ciclostile ad alcol. Si tratta di pochi fogli con un articolo di spiritualità, qualche esperienza e alcune notizie, ma nella convinzione che l’Ideale dell’unità porta una dottrina ed è fatto per le masse. La si lavora in via Gaetano Capocci n. 6, dove Chiara stessa ha un proprio ufficio.
Il primo numero a stampa (5 mila copie) appare il 5 marzo dell’anno seguente, quando si aggiungerà il valido contributo di suo fratello Gino, lui sì con una esperienza giornalistica alle spalle. Così egli descrive il primo impatto con quella pionieristica “redazione”: «Mi apparve come qualcosa “ai confini della realtà”: consisteva in un tavolino con due sedie, due biro e mezza risma di carta, il tutto inserito in uno stanzone da disbrigo e da dispensa, fra pile di libri e mazzi di ombrelli, valige accatastate, reti metalliche appoggiate ai muri, materassi e scope, attrezzi vari e bauli sopraffatti da scatolame: insomma, fra tutto ciò che nel resto dell’appartamento avrebbe ingombrato e quindi era stato relegato lì, off limits. L’appartamento, di cui tale stanzone costituiva l’estrema propaggine, ospitava il centro maschile dei Focolari, al settimo piano di un palazzo rosa-confetto costruito all’ultima periferia di nord-est, alla fine di via Capocci, sul ciglio di una scarpata che scivolava rapida su un’ansa dell’Aniene».
Fino all’approvazione del movimento, quando potrà finalmente apparire con la sua firma, Chiara non farà mai mancare al quindicinale i suoi scritti (editoriali, pensieri spirituali, esperienze), sia anonimi, sia contrassegnati da tre stelline, sia a firma Paola Romana.
Piazza di Tor Sanguigna
Nel 1961, in un palazzo sorto sui ruderi dello Stadio di Domiziano, nasce il “Centro Uno”, una segreteria per il dialogo ecumenico: ne è responsabile Igino Giordani, coadiuvato da una équipe di focolarine. Qui Chiara ha uno studio-salotto dove incontra personalità della Chiesa cattolica e di altre confessioni cristiane. «In questo ufficio – ricorda Gabri Fallacara – Giordani lavorò quotidianamente, per quindici anni, portandovi la ricchezza della sua dottrina resa semplice dal suo humour, la sapienza della sua interpretazione degli avvenimenti, la genialità di un lavoratore che sa sperare e attendere ma non rimanda mai al domani quello che può fare oggi. (…) Vescovi delle Chiese ortodosse, della Riforma e della Comunione anglicana, esponenti zwingliani e calvinisti, membri di molte confessioni si trovavano con stupore accolti in un dialogo che spesso “apriva orizzonti nuovi”».
Catacombe
Tra i punti d’incontro della prima comunità romana si ricordano le catacombe di San Callisto sull’Appia Antica e quelle di Priscilla vicino a Villa Ada, ma anche altre. L’appuntamento è per la messa domenicale. Ed è quasi sempre presente anche Chiara, che a questi luoghi dedica un testo apparso in una pubblicazione diffusa in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960: «Erano tombe, divennero altari. Luoghi di morti, raccolsero i vivi che da Gesù attinsero la Vita giorno per giorno, sprezzanti delle bufere, delle minacce, anelanti al martirio. Qui passò di bocca in bocca la Parola che non muore: il Vangelo contro cui l’intero inferno scatenato non avrà vittoria per tutti i secoli. Qui celebravano raccolti, pii, adoranti, la messa santa, rinnovando il mistero del Calvario; e si cibavano del Corpo di Cristo per aver l’audacia di testimoniarlo dinanzi ai giudici e la forza d’amarsi a vicenda fino a morire l’uno per l’altro. Se uscivano di qui, la gente, vedendoli, diceva: “Guarda come si amano”».
Campidoglio
Dagli anni “eroici” a tempi più recenti. Il rapporto privilegiato di Chiara con Roma ha il suo momento ufficiale nel 2000, anno del Grande Giubileo, degli ottant’anni di lei e della presenza quasi cinquantennale dei Focolari nell’Urbe: quando cioè il 22 gennaio, in Campidoglio, le viene conferita dal sindaco Rutelli la cittadinanza onoraria. A nome del suo “popolo” romano, Chiara prende un impegno: «Dedicarci d’ora in poi a questa città più e meglio. Desidererei potenziare in essa ciò che può offrire il nostro carisma: l’amore, l’amore reciproco e una più profonda unità fra tutti, dovunque».
Nel suo discorso fa riferimento al nome di Roma letto all’inverso, nome che è una vocazione: Amor. E “Roma Amor” s’intitola appunto l’opera evangelizzatrice che, lanciata da lei all’indomani della solenne cerimonia, coinvolge tuttora le forze più valide del movimento nella Città Eterna.