Roma città reciproca

Le associazioni cattoliche per una convivenza a dimensione di persona.
Immigrati

 «La migliore scuola di integrazione degli immigrati? È la strada! Dove il ragazzino del Bangladesh che non spiccica una parola d’italiano te lo ritrovi tra i piedi dopo un paio di mesi – svezzato tra una pizza e un kebab dalla gente di strada, romani compresi – con la maglia di Totti!».

Ci voleva proprio questa provocazione che Augusto Battaglia – ex assessore alla Sanità della Regione Lazio – si è permesso al termine della sua puntigliosa mappatura del disagio e dei nuovi “mali di Roma”. È suo il primo intervento al convegno “Roma città reciproca”, idea uscita dal cilindro di quel prete di frontiera che è don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. Un’idea che nasce dal desiderio di dare una risposta nuova ad un disagio che ha cambiato pelle. È infatti più nascosto, abita la notte e le periferie.

 

Ed è mentale oltre che fisico. Ha il colore tetro della depressione e della fragilità quando tocca gli anziani, i malati, gli sfrattati, i soli. Diventa strafottente, violento e disperante quando coinvolge i nostri ragazzi. Si fa barriera quando morde nella disabilità. È il disagio che si crea per un fenomeno migratorio mal gestito e una multiculturalità ormai dato di fatto – di 191 Paesi del mondo sono i ragazzi delle scuole di Roma! – e che invece di essere vissuto come ricchezza – sono bambini, nuove energie – produce scontro, paura, isolamento. Questo è il grido che esce dalle nostre città.

 

Ecco perciò la proposta che don Vinicio lancia alle realtà romane che hanno nel loro Dna un’anima sociale: «È tempo di offrire alla politica idee e soluzioni originali e soprattutto farlo insieme, uniti. Abbiamo esperienza, le nostre storie lo testimoniano. Possiamo inventarci una nuova idea di welfare».

E fin dalla preparazione si è davvero respirata una atmosfera di profonda reciprocità tra tutti. Ognuno ha tirato fuori le sue perle – commoventi storie di amicizia e di condivisione con gli ultimi, accoglienza di rifugiati, battaglie di ogni tipo – radicate nella vita del Vangelo e accolte dagli altri come un regalo. Poi sono arrivate piste, idee e proposte, quelle espresse nel convegno del 19 giugno.

 

Ma è questo timbro di comunione la cifra più vera alla radice di “Roma città reciproca”, una sorta di nuovo originale coro declinato al plurale, ma profondamente intonato e perciò autorevole.

Ed è questa l’autorevolezza che i politici presenti – Sveva Belviso per il Comune di Roma, e Luciano Ciocchetti della Regione Lazio – colgono, che nasce dalla determinazione di ciascun intervento e da questa unità.

E se si parla chiaro – i tagli allo stato sociale bruciano e ricadono sui più deboli a cui si deve dare voce – è grande l’aspetto propositivo che esce da questo laboratorio di quel grande “ammortizzatore sociale vivente” che è il volontariato: 100 mila persone solo a Roma!

A settembre si ripartirà con “una proposta condivisa alla città”. Così si chiude il primo promettente atto di “Roma città reciproca”.

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