Roma in cammino verso le elezioni comunali
Roma. Le elezioni comunali nella Capitale, in programma per il prossimo ottobre, hanno un evidente rilievo nazionale.
I sondaggi demoscopici registrano la forte ascesa di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, leader del partito di destra, avrebbe la strada spianata al Campidoglio contando sulla sua popolarità, confermata dal successo in libreria dell’autobiografia, e su un certo tipo di romanità in continuità con la storica presenza in città del Movimento Sociale (simbolo identitario che è rimasto nel logo del partito).
Ma più che di città dobbiamo parlare di una metropoli che contiene tante città al suo interno come ha messo in evidenza lo studio dell’economista Salvatore Monni dell’università di Roma Tre che ha mappato 7 aree distinte con caratteristiche molto diverse tra loro. Ostia ad esempio è un caso a parte, non è un comune autonomo di città sul mare. Esprime in micro le potenzialità e le contraddizioni, compresa una presenza radicata della criminalità organizzata, di un tessuto urbano frammentato e diseguale.
Roma non è il centro storico di impareggiabile bellezza racchiuso dentro le Mura aureliane (dove si contano appena 100 mila residenti). Esiste la città ricca (quartieri Parioli, Prati, Olgiata, Appia antica ed Eur per circa 420 mila abitanti) e quella dell’esclusione: 530 mila residenti tra case popolari degli anni 30 (San Basilio, Trullo e Primavalle) e il gigantismo urbanistico degli anni 70 e 80 (Corviale, Laurentino e Tor Bella Monaca).
Esiste poi una città frammentata che vive (450 mila residenti) intorno al Raccordo anulare (Gra) cosparso di centri commerciali, e quella che si estende oltre il Gra (300 mila abitanti in luoghi come Ponte di Nona).
La città più estesa, con 880 mila residenti, è quella definita del “melting pot popolare” che corre lungo le vie consolari come conseguenza della forte espansione urbanistica, densamente popolata, con negozi e servizi accessibili ma scarsi spazi pubblici.
La sinistra, maggioritaria ai tempi della sindacatura Petroselli, e poi con la variante di centrosinistra di Rutelli e Veltroni, ha man mano perso i contatti con i ceti popolari per cedere alla destra di Alemanno (2008-2013), tornare al governo (2013-2015) con Ignazio Marino, il chirurgo outsider uscito dalle primarie battendo Sassoli e Gentiloni, per poi essere estromesso da un’operazione anomala interna al Pd.
La grande vittoria dei 5 Stelle con Virginia Raggi nel 2016, dopo la fase del commissariamento, ha espresso una voglia di cambiamento diffusa escludendo il Pd anche dal ballottaggio nei municipi storicamente di sinistra come quello di Tor Bella Monaca conteso tra destra e pentastellati (vincenti).
In pochi avrebbero scommesso sulla continuità della consiliatura della Raggi che è stata molto travagliata, tra spaccature, abbandoni (ultimo quello di Marcello Di Vito passato in Forza Italia) e inchieste giudiziarie, ma la sindaca è rimasta in piedi. Si ripropone come candidata al Campidoglio ostacolando le strategie di chi avrebbe preferito un’alleanza di centro sinistra, comprensiva dei 5 stelle nel segno auspicato dal duo Letta-Conte, per rimandare il tutto in fase del probabile ballottaggio tra i numerosi candidati alla difficile carica di primo cittadino di Roma.
Il centrodestra, pur diviso tra maggioranza e opposizione a livello nazionale, esprime di fatto una consonanza culturale che permette ai vertici di scegliere un tandem di due nomi poco conosciuti ma radicati sul territorio: Enrico Michetti, area Meloni, è già in testa nei sondaggi. Docente universitario a Cassino è un opinionista affermato di una delle tante radio locali che abbinano tifo calcistico e politica. Simonetta Matone sarebbe non proprio una docile vicesindaca, la magistrata nota al pubblico televisivo della trasmissione di Bruno Vespa assumerebbe, in caso di vittoria, molte competenze dirette che ne farebbero una specie di prosindaco, figura non prevista attualmente nello statuto comunale.
Carlo Calenda è in pista da tanto tempo e gode di una grande copertura mediatica. Romano del quartiere Prati, nipote del famoso regista Luigi Comencini, in ottimi rapporti con Luca Cordero di Montezemolo alla Ferrari e poi in Confindustria, dove ha ricoperto la carica di direttore dell’area strategica e internazionale. Già ministro dello Sviluppo economico con il governo Renzi, europarlamentare eletto con il Pd da cui si è staccato per fondare il partito Azione.
Paolo Berdini, noto urbanista attento alle problematiche delle periferie con grande conoscenza della Capitale, concorre a sindaco come rappresentante di un cartello di partiti di sinistra e comitati territoriali. Ha ricoperto la carica di assessore all’Urbanistica della giunta Raggi sperimentando poi una profonda spaccatura a partire dalla questione del contestato nuovo stadio della A.S. Roma di Tor di Valle. Progetto poi naufragato con l’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto l’amministrazione e l’impresa costruttrice.
Altre liste minori proporranno, come di solito soprattutto a sinistra, altri candidati, mentre il centro sinistra prova a compattarsi con le elezioni primarie che, nel 2016, hanno visto la vittoria di Roberto Giachetti, un renziano proveniente dalla scuola politica del partito Radicale e poi trasmigrato anch’egli dal Pd a Italia Viva. Un candidato chiamato ad un’impresa impossibile per un partito in crisi che ha conquistato solo 2 presidenze di Municipio nelle zone della città “ricca”.
Questa volta le primarie si presentano, complice anche il permanere degli effetti del Covid, in tono minore tanto da far presagire un flop come quello registrato a Torino: alle primarie vittoriose di Marino si recarono alle urne delle sezioni 100 mila persone, quelle vinte da Giachetti ne raccolsero 50 mila. Sarebbe un successo questa volta raggiungere almeno 35 mila votanti in elezioni aperte anche ai non iscritti e ai sedicenni. Un dato che fa riflettere considerando gli oltre 2 milioni e 800 mila abitanti della Capitale. E Salvini compare sui tabelloni pubblicitari per annunciare un grande comizio per il 19 giugno.
Tramontata la possibilità di schierare Nicola Zingaretti, deciso a presidiare la carica di presidente della Regione Lazio, il ceto dirigente del Pd, determinante a livello nazionale e legato alla scuola del Pci, ha individuato come candidato vincente Roberto Gualtieri, un profilo non tribunizio, ex ministro dell’Economia con il governo Conte 2, docente universitario di Storia con lunga esperienza di parlamentare europeo.
Significativa la presenza tra gli altri candidati dell’ex 5 Stelle Cristina Grancio, consigliere comunale uscita dai pentastellati per la vicenda dello stadio della Roma e non solo.
L’esponente di Demos Paolo Ciani è stato il primo ad esporsi rompendo l’impasse in cui si era infilato il Pd: molto attivo sulle questioni sociali come consigliere regionale, proviene dalla Comunità di Sant’Egidio molto radicata e presente a Roma.
Tobia Zevi è il candidato più giovane, esperto di politiche internazionali, proviene dalla storica comunica ebraica capitolina.
Giovanni Caudo è un docente universitario di urbanistica, assessore con la giunta Marino. È riuscito a farsi eleggere nel 2018 presidente del terzo municipio (Montesacro) dopo la crisi interna dei 5 Stelle.
Esprime il mondo Lgbt Imma Battaglia che rappresenta il movimento Liberare Roma fondato da due esponenti del cosiddetto campo largo della sinistra (Amedeo Chiacchieri e Massimiliano Smeriglio).
Anche Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, si candida alle primarie come rappresentante di un’area che nel 2016 aveva deciso di viaggiare da sola con la lista Sinistra per Roma di cui è unico consigliere in Campidoglio.
Non è difficile registrare le diverse idee e sensibilità tra i candidati alle primarie del centrosinistra ma è significativo il fatto che l’unico dibattito pubblico tra di loro si sia tenuto in un palazzo occupato. Il famoso stabile di via Santa Croce in Gerusalemme dove è intervenuto nel 2019 il cardinal Krajewski per riattaccare la corrente elettrica necessaria alle 500 persone senza casa che vi abitano.
Il luogo del dibattito ha generato forti polemiche da parte della sindaca Raggi, i candidati di destra e Calenda, come una legittimazione dell’illegalità.
La situazione del palazzo, che ha una complessità da conoscere meglio, rappresenta solo l’indice di un grave problema abitativo che interessa alcune delle città che compongono Roma.
Come invita, infatti, a notare l’urbanista dell’università de La Sapienza, Carlo Cellamare, nel territorio metropolitano «al 1 luglio si effettueranno 10 sfratti al giorno con la forza pubblica. Ovvero a Roma ogni due settimane la forza pubblica sfratterà 100 famiglie romane.
Quindi serviranno altre 100 case popolari ogni due settimane e questo solo per affrontare gli sfratti e senza parlare delle famiglie in graduatoria».
Da romana la questione assume una rilevanza nazionale secondo Cellamare che chiede apertamente: «Quanto tempo ci vorrà ancora perché governo ed enti locali capiscano che le case popolari sono una infrastruttura sociale strategica? E che l’obiettivo di avere più case popolari si può ottenere senza consumo di suolo riutilizzando l’immenso patrimonio immobiliare pubblico e privato oggi inutilizzato?».
Un tema emblematico che mette in evidenza la necessità di affrontare i tanti temi della lunga campagna elettorale romana, che intreccia inevitabilmente quella nazionale permanente, a partire dalle questioni concrete e dei poteri reali che decidono sulla vita delle persone in mancanza di una effettiva partecipazione democratica.