Roma al voto. Città ferita a rischio astensionismo

Per le elezioni a sindaco sembra in testa la candidatura pentastellata ma pesa l’incertezza di quasi il 50 per cento degli elettori di una metropoli di circa tre milioni di abitanti ancora scossa dagli scandali dell’inchiesta su Mafia Capitale e dal deficit di bilancio. Le forze in campo e la necessità di una partecipazione a partire dalle periferie in attesa del ballottaggio del 19 giugno
Roma Ansa

Le elezioni comunali del 5 giugno 2016 a Roma arrivano dopo un commissariamento prefettizio decretato con la crisi della giunta di Ignazio Marino, eletto nel 2013. L’ex sindaco è stato sfiduciato con un atto notarile senza discussione in consiglio comunale e al termine di un lungo periodo di tensione durante il quale è emersa l’indagine della magistratura su “Mafia Capitale”, al centro di un maxi processo in corso a Rebibbia, che ha messo in evidenza una trama di corruzione storicamente radicata nei gangli amministrativi della città. Il noto medico chirurgo gira la città, e l’Italia, per presentare un suo libro come atto di accusa verso i poteri ostili che lo hanno defenestrato  e ha atteso fino all’ultimo momento per annunciare di non voler partecipare ad una competizione elettorale difficile e incerta dove il candidato in testa per il ballottaggio sembra essere la trentasettenne avvocato Virginia Raggi, già consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle.

 

I diversi istituti demoscopici mettono in fila come possibili sfidanti alternativamente Roberto Giachetti del Partito democratico o Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e sostenuta dalla Lega di Salvini seguiti da Alfio Marchini, espressione di una lista civica forte tuttavia del sostegno di Forza Italia e, molto distante, Stefano Fassina di Sinistra italiana. Il resto dei candidati intercetterebbe fasce di forte consenso identitario ma minoritario quanto ai numeri, come ad esempio Mario Adinolfi, del neonato partito della famiglia nato dopo il family day, Simone Di Stefano di Casa Pound, Alfredo Iorio del Movimento sociale e Alessandro Mustillo per il Partito comunista.

 

Il vero boom è rappresentato dal cosiddetto partito degli incerti, il 49 per cento  secondo l’istituto Index, da smuovere verso le urne. Non basteranno evolute tecniche di marketing televisivo verso quella disaffezione della Roma odierna che non è riducibile alla frazione territoriale del centro urbano, conosciuto a livello mondiale per la sua magnifica bellezza, ma povero di residenti migrati verso le mille città in cui si disegna una metropoli di circa tre milioni di abitanti e un territorio pari a mille e 285 chilometri quadrati, cioè, ad esempio, sette volte Milano che ha circa la metà degli abitanti (un milione e 350 mila) distribuiti su soli 181 chilometri quadrati.

 

Come ha riconosciuto il cardinal vicario dell’Urbe, Agostino Vallini, nella lettera alla città ad aprile 2015, «Roma è oggi le sue periferie» ed è qui che si deve affrontare una sfida perché «il problema non è di natura esclusivamente organizzativa. Alla radice c’è una profonda crisi antropologica ed etica. In tanti sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso dell’inviolabile dignità della persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali che si esprimono nella responsabilità verso gli altri e che danno senso all’agire umano. Troppe persone si incrociano per strada e si guardano con diffidenza, quasi siano alieni provenienti da pianeti diversi». In questa analisi, che fa tesoro anche del lavoro di ricerca dei migliori urbanisti capitolini, sembra emergere la difficoltà di arrivare a promuovere un movimento rigenerativo come quello del 1974 quando, proprio dalla realtà ecclesiale, partì una forte tensione per rispondere, secondo “le attese di carità e giustizia”, ai “mali di Roma” condensati nelle “borgate” degradate sorte accanto all’espansione edilizia guidata da un’aristocrazia di nuovi ricchi della rendita, non solo del mattone.

 

Nelle elezioni del 2016, le risposte dei diversi candidati dovrebbero mettere in evidenza la proposta di analisi della megalopoli odierna per individuare i centri di potere che tendono a governare il territorio e lo spazio reale di una partecipazione popolare plurale ma attenta al bene comune. E sono questioni apparentemente marginali che permettono di comprendere l’idea di città proposte dalle  diverse espressioni di partito, dalla partecipazione alle Olimpiadi del 2024 alla destinazione del nuovo stadio della A.S. Roma, alla gestione dei campi nomadi che rappresentano una scandalosa anomalia di segregazione etnica censurata a livello europeo.

 

Il quasi sicuro mancato raggiungimento della maggioranza assoluta al primo turno permette a ogni forza politica di esprimersi pienamente senza scorciatoie verso il cosiddetto voto utile per dare rappresentanza alla città nella sua diversità non riducibile alla semplificazione duale.

 

Come segno dei tempi è significativo il fatto che il confronto televisivo tra i maggiori candidati al Campidoglio ( Raggi, Giachetti, Meloni,Marchini  e Fassina) avverrà martedì sera 31 maggio, secondo  standard statunitensi, sugli schermi della tv satellitare del magnate Murdoch, ma diverse realtà sociali hanno invitato i candidati a confrontarsi sul territorio in un dialogo sui contenuti che, per essere efficace, dovrebbe continuare e crescere nel tempo post elettorale senza deleghe irresponsabili con verifiche improbabili  alla scadenza di una consiliatura chiamata a misurarsi con grandi questioni a partire da un debito consolidato di bilancio che, secondo la gestione commissariale, ha raggiunto i 12 miliardi di euro senza essere peraltro ancora definitivo. Decisamene una poltrona scomoda quella di sindaco della Capitale.  

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