Rockpolitick, Raiuno

Raiuno, giovedì ore 21.00 Ma alla fine della fiera, Rockpolitick, per dirla alla Celentano, è rock o è lento? Secondo la nuova dicotomia, l’inedita divisione del mondo tra ciò che è bello e ciò che è brutto, quel che è bene e quel che è male, tra il vero e il falso, come va giudicato l’ultimo programma del Molleggiato? Certamente è un po’ rock, quasi heavy metal, per il rumore delle tante, assordanti polemiche politiche che ha innescato per giorni e giorni. Ma è soprattutto lento nel senso di già visto, poco sorprendente, non certamente spiazzante. Senza contare che lento è un aggettivo che non è mai stato ritenuto offensivo dal ragazzo della via Gluck che del rifiuto antifuturista della velocità, dei tempi morti e dei silenzi ostinatamente prolungati ha fatto la cifra stilistica del suo fare tv. Messe da parte per un po’ le beghe di Palazzo, le accuse di censura da una parte e gli inni alla libertà dall’altra, c’è da chiedersi infatti se quello che va in onda al giovedì sera su Raiuno sia un ottimo programma tv o una ciofeca, come l’ha invece apostrofato il ministro delle comunicazioni Landolfi. Probabilmente non è né l’uno né l’altro. Certo un evento per il battage pubblicitario che lo ha preceduto. Ma non un capolavoro da piccolo schermo e neanche il peggio che passi in prima serata. Celentano resta essenziale per dimostrare che un’altra televisione è possibile. Anche questa volta francamente se ne infischia dei ritmi in voga oggi. Parla, si ferma, fa una pausa, poi riprende per una tv della parola e del silenzio, dell’ascolto e del dialogo. Senza volgarità e doppi sensi, senza cadute di stile, nani e ballerine. Sfruttando la sua libertà d’azione, riesce a portare in un grande show personaggi ai margini della tv e temi coraggiosi, altrimenti banditi dal primetime: l’Italia sfregiata, la fame nel mondo, le emergenze ecologiche, le regole della democrazia, il decadimento dei reality. Nella sua foga di dire, Celentano però ha anche il suo tallone d’Achille. Rischia ogni momento di dire una delle 125 milioni di quella roba lì che altre volte ha dispensato al pubblico. La sensazione è di essere allo speaker corner, l’angolo di Hyde Park a Londra, dove ogni oratore può portare il suo palchetto e dire quel che gli pare senza contraddittorio. Così il Molleggiato di Rockpolitick. Nessuno gli chiede di salvare il paese. Più modestamente gli si domanda di far trascorrere una serata di relax non banale alle famiglie italiane affezionate al primo canale del servizio pubblico. Facesse più rock e meno politick, più musica e meno prediche, più show e meno moralismi, sarebbe perfetto.

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