Robinson, il naufrago alla ricerca dell’altro

È il naufrago che attraversa il romanzo d’avventura per far affiorare sul palcoscenico un luogo d’incontro, un meticciato di solitudini tra performance, coreografia e ricerca sonora
Robinson

Il palco, spoglio, è illuminato debolmente. È un’isola spersa nel vuoto. Un luogo fisico, ma soprattutto un folgorante paesaggio mentale, dove sosta un uomo – un indigeno? –  con il corpo dipinto di giallo e il volto e le spalle di nero, e un’asta che allungherà per toccare l’intruso giunto in prossimità del suo territorio. Emblematico è l’enorme materasso gonfiabile che riflette le luci che lo illuminano.

Quando l’oggetto improvvisamente s’invola rimanendo sospeso, è subito resa l’immagine di una zattera, quale ultima àncora di salvezza, che nel finale cederà il posto a una fulminante cascata di piante che invaderanno tutto il palcoscenico. L’esotismo continua ad affascinare Michele Di Stefano. Il coreografo della compagnia Mk (appena insignito del Leone d’argento alla prossima Biennale Danza di Venezia), dopo aver circumnavigato territori impervi con Impressions d'Afrique,Il giro del mondo in 80 giorni, e Grand tour, prosegue nell’indagine sulla visione del mondo globalizzato contemporaneo collocando in un luogo asettico il naufrago per eccellenza, Robinson Crosuè, per analizzarne il comportamento e la strategia di sopravvivenza in relazione all’incontro con l’altro. «Robinson parte all’avventura come turista definitivo e archetipo dell’occidente colonizzatore, ma è soprattutto la sua inquietudine che lo fa naufragare in un paesaggio senza umani – racconta Michele Di Stefano –. La sua strategia di sopravvivenza si predispone allo sgretolamento dei propri limiti e progetti, causato dalla mancanza di quel termine di paragone che fonda e giustifica ogni figura: un’altra figura, chiunque, un non-io. La sua vera reinvenzione avviene attraverso l’incontro con l’altro da sé. Essere corpo solo in quanto vicino, di fronte, accanto ad un altro corpo”. 

Lo spunto dello spettacolo Robinson è dato dal romanzo di Michel Tournier Venerdi, o il limbo del Pacifico, in cui la storia viene ribaltata facendo di Venerdì il maestro di Robinson sulla controversa strada della ricerca dell'innocenza perduta. Tournier arriva a simulare il rischio di afasia che un simile naufragio potrebbe comportare per chi non trova più l'utilità del linguaggio. Di Stefano sembra inseguirne il concetto attraverso le dinamiche e i rapporti interni dello spazio mentale,sondando le reazioni del corpo scenico posto in un costante disequilibrio tra un qui e un altrove che ne definisce la presenza. Dapprima quella solitaria di un danzatore, poi quella abitata, con l’intreccio di altri cinque performer che entrano ed escono tracciando combinazioni multiple che restringono ed espandono lo spazio nella ricerca del rapporto, con movimenti replicati e sincopati alla maniera di Lucinda Childs, e con geometrie di braccia e gambe che ricordano lo stile di Merce Cunningham. Se l’inizio dello spettacolo è foriero di epifanie sceniche e coreografiche, rese anche dalla densità ambientale e atmosferica del suono graffiato e del light-design, lo sviluppo sembra fermarsi ad un solo livello per una certa ripetitività dei movimenti e delle azioni .

“Robinson”, compagnia Mk, coreografia Michele Di Stefano, musica Lorenzo Bianchi Hoesch, set Luca Trevisani, disegno Luci Roberto Cafaggini. A Firenze, festival Fabbrica Europa, Teatro cantiere Florida; il 27/5 alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri (TO) per Festival Interplay; il 18 e 19 luglio a Santarcangelo Festival.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons