Roberto Saviano una questione collettiva

Ho solo 28 anni, voglio una vita, voglio una casa, voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Le parole di Roberto Saviano, giovane scrittore napoletano, autore di Gomorra, sono entrate nelle nostre case attraverso i mass media con l’intensità di un filmine. Parole drammatiche, pronunciate a caldo dopo che le rivelazioni di un collaboratore di giustizia avevano rivelato l’ipotesi concreta di un attentato ai suoi danni da parte della camorra. Nessuno dei carabinieri di Napoli che lo protegge come un figlio ha chiesto di andare via dopo quest’ultimo allarme; l’apparato di sicurezza si è mosso con prontezza, ha accresciuto i controlli; una misura necessaria, certo, che lo protegge, ma insieme lo costringe ad una solitudine amara e dolorosa o a pensare di lasciare l’Italia per sempre. Perché la sicurezza, l’incolumità di Roberto non sono una questione privata, personale, o un compito delegabile alle sole forze dell’ordine. È una questione collettiva, che riguarda da vicino la vita di ciascuno di noi, il futuro del Paese, la salute della sua democrazia. Con il passare dei giorni, la forza di quelle parole ha lavorato nelle coscienze al di là di ogni prevedibile aspettativa, ha camminato per città e paesi, valicato i confini nazionali, richiamato le persone in piazze fisiche e virtuali (nei media, su Internet, nei blog). In tanti, soprattutto giovani, si sono sentiti chiamati in causa, si sono domandati cosa poter fare per Saviano, perché nessuno più, a motivo delle sue parole e del suo impegno civile, sia minacciato così. La mobilitazione di alcuni premi Nobel ha raccolto firme di persone illustri come di semplici cittadini di tanta parte del pianeta. Le principali cariche dello Stato italiano, esponenti di ogni componente politica hanno espresso la propria partecipazione. Nelle piazze di molte città sono state lette pubblicamente pagine scritte da Saviano in un clima di partecipazione e commozione. Qualcosa di mio è diventato qualcosa di nostro. Ringrazio chi in questi giorni ha sentito che il mio dolore era anche il suo, ha commentato Saviano. Ma in realtà siamo noi a dover ringraziare questo coraggioso ragazzo. La sua vita dipende anche da noi: ogni giorno possiamo scegliere se nasconderci e fuggire nel nostro privato, oppure impegnarci, partecipare, facendo con dignità e responsabilità la nostra parte di cittadini che hanno nella mente il bene e il futuro del Paese. Anche in questa grave questione di legalità.

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