Roberto Benigni e la più bella del mondo
Che ascolti abbia raggiunto Benigni ieri sera su Rai1 si saprà fra qualche giorno, qualcuno dice il 45 per cento, forse addirittura il 60 per cento di share. Un anno fa, quando fu ospite di Fiorello a Il più grande spettacolo dopo il weekend, catturò 13,4 milioni di spettatori con il 50 per cento di share. Il poeta di Vergaio, premio Oscar per La vita è bella si conferma alla grande anche un autentico one man show, tenendo incollati al televisore per oltre due ore svariati milioni di persone. E questo parlando di un argomento che non è certo uno scoop dell’ultima ora e neppure il gossip sul tormentone delittuoso di turno, ma i princìpi della legge fondamentale dello Stato, la Costituzione della Repubblica Italiana.
Dopo gli exploit sulla Divina Commedia di Dante Alighieri (scritta nel XIV secolo) e quello di Sanremo in cui spiegò l’Inno di Mameli (composto nel XIX secolo), stavolta Benigni ha raccontato agli italiani un pezzo molto più “recente” della loro storia, perché la nostra Costituzione di anni ne ha “solo” 64. Eppure, a detta di Benigni, resta «la più bella del mondo: la nostra Costituzione. La Costituzione della Repubblica italiana. Sono andata a leggerla. È un libro straordinario. La Divina Commedia è il cielo di Dio. La Costituzione è il cielo degli uomini».
La serata di Benigni, ampiamente consultabile sul web per chi se la fosse persa, è destinata a restare, anche al di là dell’ironia che prevedibilmente la attraversa. E anche al di là di qualche patetico tentativo di sminuirla, denigrarla o di rivelarne morbosi quanto poco credibili retroscena economici: provate a dividere i costi che vagano sui media con il numero dei telespettatori. Quanto viene? Per mal che vada 30 centesimi ciascuno. Penso che ne valesse la pena. Tanto più che l’argomento è sentitissimo, i contenuti di alto livello e la satira mai distruttiva o non rispettosa delle persone e dei fatti, lo show coinvolgente.
Non secondari rispetto ai contenuti giuridici, Benigni ha evidenziato lo spirito e la dimensione utopica e poetica presenti nei 12 principi fondamentali che ha letto e commentato con profondità unita ad amore ed arguzia. Pochissime e non compromettenti le poche imprecisioni presenti nel vivace eloquio, che ha comunque catturato dal primo all’ultimo istante.
Ma quello che più conta, Benigni è riuscito a cogliere lo spirito che animò i padri costituenti, «politici divisi su tutto ma non sull’essere uniti», unità nella diversità che ha espresso una vera e propria vision capace di indicare un disegno unitario, salvando e valorizzando allo stesso tempo l’identità di ciascuno. È questo che la Costituzione esprime, ed è questo che manca a non pochi politici e parlamentari di oggi, figli di un porcellum che rinnega l’autentico spirito della Costituzione.
Una nostalgia costruttiva quella di Benigni, una memoria al futuro capace di fornire nuovo combustibile ad un sano orgoglio per l’identità italiana, riaccendendo una speranza che di questi tempi, e per validissimi motivi, non abbonda.