Rivoluzione bancomat
Dopo un rinvio di sei mesi (sarebbe dovuta entrare in vigore il 31 dicembre scorso), è scattata la norma secondo la quale imprese e lavoratori autonomi sono tenuti ad accettare i pagamenti superiori ai 30 euro anche attraverso le carte di debito. In altre parole, dovranno dotarsi del Pos. Una novità che interessa milioni di imprese, artigiani, studi professionali in Italia e che ha scatenato le proteste di decine di associazioni di categoria, motivate in primo luogo dai costi e commissioni rilevanti ‒ a fronte di importi non elevati ‒ a tutto vantaggio dei circuiti finanziari. Lo prevede un decreto del ministero dello Sviluppo economico del 24 gennaio 2014, con il quale sono state definite anche le modalità di accettazione obbligatoria delle carte di debito come sistema di pagamento per l’acquisto di beni, servizi e prestazioni professionali.
L’obbligo per i professionisti e per gli esercenti di accettare pagamenti attraverso carte di debito è limitato, come già detto, ai pagamenti di importo superiore ai 30 euro, sia per le transazioni con le imprese per l’acquisto di beni e servizi che per i professionisti. Ad introdurre la novità era stato il decreto “crescita bis” ‒ il numero 179 del 2012 ‒ che inizialmente aveva stabilito che l’obbligo scattasse dal primo gennaio di quest’anno e riguardasse solo i soggetti che fatturavano più di 200 mila euro l’anno. Poi la proroga al 30 giugno ha fatto cadere questa prescrizione e da oggi l’obbligo varrà per tutti. Dal ristorante all’idraulico, dal falegname al dentista, dal parrucchiere a tutte le attività professionali ‒ siano essi notai, avvocati, architetti o commercialisti ‒ ovunque i clienti potranno chiedere di utilizzare la moneta elettronica cioè la carta di credito o il bancomat: l’importante è che l’importo finale non sia inferiore ai 30 euro. La misura introdotta ‒ nata con l’intenzione di contrastare l’evasione fiscale e restare al passo con l’eurozona ‒ ha suscitato numerose polemiche da parte delle categorie interessate, poiché, come espresso nell’istanza presentata al Tar del Lazio dal Consiglio nazionale degli architetti (Cnap), la si ritiene una norma insensatamente vessatoria e costosa.
In effetti, in questo modo si vogliono rendere tracciabili i flussi di denaro ‒ contrastando l’evasione fiscale ‒ ma non si può prescindere dal fatto che la macchinetta elettronica di cui si dovranno dotare le partite Iva abbia un costo annuo e varie commissioni.
C’è poi l’aspetto paradossale della norma: infatti per chi non si doterà di terminale di pagamento elettronico non è prevista alcuna sanzione, almeno per ora. Ciò significa che ‒ nonostante vi sia un obbligo ‒ lo Stato non è in grado di farlo rispettare e i commercianti che da domani non si doteranno di Pos non rischieranno nulla e potranno comportarsi come meglio credono.
Ovviamente molte, nel mondo del lavoro, le voci contrarie alla novità, soprattutto per i costi che questa comporta. Secondo uno studio dei Consulenti del lavoro il canone oscilla dai 10 euro del Pos standard ai 28 del Gsm. Per ogni operazione si pagano poi 20 centesimi per la chiamata ad un numero automatico ed una commissione bancaria che in media si aggira sul 2 per cento dell’importo transato.