Rivolte, media e immigrazione alla francese

Le ragioni dei giovani delle banlieues (periferie) francesi, in un libro del giornalista freelance Vincenzo Sassu
banlieues parigine

Era il novembre del 2005 quando la Francia veniva messa a ferro e fuoco da quelli che venivano un po’ considerati dei cittadini di seconda categoria, gli abitanti delle banlieues (periferie), molti di loro di origine immigrata. Tutto ebbe inizio con la morte di due adolescenti in una cabina elettrica a Clichy-sous-Bois dove, si dice, i due si stessero nascondendo dalla polizia. L’evento fu una di quelle gocce in grado di far traboccare un vaso talmente tanto colmo che in molti si chiesero come fosse stato possibile contenerlo fino a quel momento. A quel tragico incidente seguirono due settimane di incendi e scontri nelle banlieues francesi ad opera di quei giovani che per tanto tempo erano stati lasciati da parte dai media che ora non davano loro tregua.

 

Ad un anno di distanza da quegli eventi Vincenzo Sassu, allora studente a Parigi e oggi giornalista freelance per varie testate, ha cominciato delle ricerche che lo hanno portato pubblicare il libro "Là-bas la banlieue. Rivolte, media e immigrazione nel contesto francese" presentato il 16 giugno alla libreria Fahrenheit 451 di Roma. A introdurre la presentazione così come il libro con la sua prefazione, il giornalista inviato di News, Mediaset, Alfredo Macchi.

 

“Là-bas la banlieue” è l’espressione che racchiude un po’ la distanza totale del francese medio da quel mondo lontano – per volontà e per difficoltà di raggiungerlo a volte con i mezzi, ma non per distanza effettiva – delle banlieues povere. «I francesi stessi – racconta Sassu – non capiscono cosa succeda nelle banlieues. Quanto intervistavo i parigini del centro città sugli eventi del 2005 mi sentivo rispondere: “Je ne sais pas, la banlieue c’est là-bas” (“non lo so, la periferia è laggiù”)».

 

L’“ignoranza” dei connazionali era purtroppo giustificata, secondo l’autore, anche dal lavoro di basso livello dei giornalisti, che spesso arrivavano, facevano le loro riprese ad effetto e se ne andavano senza fare indagini o analisi. Senza contare come il dilagare della violenza in quei giorni del 2005 sia stato molto probabilmente legato anche alla risonanza mediatica che i giovani vedevano di essere in grado di sviluppare unicamente tramite delle azioni tristemente spettacolari.

 

«La rappresentazione identitaria di un gruppo nel contesto sociale viene influenzata dall’immagine che i media ne propongono. E questi giovani si sentivano esclusi dall’interno – ha commentato Sassu –. Inoltre, il problema è che questi strati di popolazione non hanno rappresentanti ad alto livello che possano farsi portavoce delle loro richieste».

 

Il passo dalla situazione dei giovani di origine immigrata in Francia e dalla loro condizione di allora – che non è molto differente da quella di oggi secondo i due giornalisti intervenuti alla presentazione – a quella del nostro Paese è breve. Considerando l’esperienza dei propri vicini (come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania) con i loro tentativi di integrazione più o meno riusciti, l’Italia sarà in grado di farne tesoro?   

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