Rivedere il passato coloniale

I Paesi Bassi debbono rispondere ancora a migliaia di indonesiani che chiedono delle riparazioni di guerra per la presenza coloniale dell’esercito de l’Aia soprattutto negli ultimi anni. La “riparazioni” non sono semplici

 

Rivisitare i fatti storici e “riparare” in un certo qual modo le ferite causate ad altri è diventata quasi un’abitudine, una tendenza poco meno che culturale dei nostri giorni. Si pensi alle ripetute occasioni in cui la Chiesa ha chiesto pubblicamente perdono per un motivo o per l’altro, ma anche altre istituzioni, personalità, politici, governi e Stati lo hanno fatto. Un esempio: è in corso negli ultimi mesi in Spagna una polemica aperta sulla proposta del governo di Pedro Sánchez di riesumare i resti del dittatore Franco per spostarli da dove fu sepolto, nella “Valle dei caduti”, un enorme monumento vicino a Madrid dove giacciono i resti dei militari morti in guerra, di ambi i due lati, durante la guerra civile (1936-1939). Certo, Franco non si può considerare un “caduto”, ma sussiste un’importate fetta di popolazione che ritiene giusto mantenerlo nel suo mausoleo. Vediamo come va a finire…

Ci sono poi ferite di più lunga portata, come quelle causate dalle guerre tra Paesi, oppure quelle che risalgono addirittura all’epoca coloniale. Un caso ora d’attualità mediatica lo troviamo in Olanda nei suoi rapporti con l’Indonesia. Dopo un lungo periodo coloniale inserito nelle Indie Orientali, l’attuale Paese asiatico chiamato Indonesia raggiunse l’indipendenza alla fine di un conflitto armato (1945-1949) che causò la morte di almeno 100 mila indonesiani e 5 mila soldati olandesi. Ed è proprio quest’ultimo periodo della presenza olandese nel Pacifico che ostacola i rapporti diplomatici tra i due Paesi, ancor oggi. È da tempo che le vittime esigono una riparazione, e ora diversi studi hanno rivelato che durante quei quattro anni l’esercito olandese dimostrò una violenza eccessiva. «Dobbiamo guardarci bene nello specchio del nostro passato. È stata quella una pagina nera nella storia», ha detto al riguardo Albert Koenders, ministro degli esteri nei Paesi Bassi fino all’ottobre 2017.

Il governo dell’Aia è entrato in fibrillazione. Imane Rachidi, in un articolo pubblicato dalla Gaceta holandesa, quotidiano online per ispanofoni, spiega nei particolari lo sforzo dell’esecutivo per chiarire «l’uso della violenza dal lato militare e anche il sostegno che la presunta “mano forte” ha avuto nelle azioni politiche». A tale scopo sono stati stanziati oltre 4 milioni di euro per le ricerche che saranno svolte da tre diverse istituzioni: l’Istituto reale per gli studi del sud-est asiatico e i Caraibi (Kitlv), l’Istituto olandese di studi di guerra, olocausto e genocidio (Niod) e l’Istituto olandese di storia militare (Nimh).

«Son passati tantissimi anni, la maggior parte dei testimoni non ci sono più e quelli ancora vivi non ricordano i particolari di quel che è accaduto. Credo però che si tratta di una questione di principio. I diritti delle vittime devono essere riconosciuti dal nostro Paese», così dichiara Liesbeth Zegveld alla Gaceta holandesa. La donna, nel suo ruolo di avvocato, ha conosciuto oltre cinquecento discendenti di uomini che sono stati giustiziati dall’esercito olandese durante quei quattro anni e ora esigono dal governo olandese una riparazione capace di risanare la memoria di un’uccisione massacrante.

 

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