Ritratto di un musicista
Intervista al compositore Cristian Carrara. Per il quale l’arte «non è bella se non è umile».
Come faccia a comporre, fare il padre di due bambine piccole (e il marito), essere presidente della sezione romana delle Acli e dirigere la Fondazione per il bene comune è una specie di miracolo. Anche se lui ammette «che l’equilibrio è fatica». Ma Cristian, friulano di Pordenone, trentaquattro anni, sposato da tre e mezzo, è uomo abituato alle sfide. Fin da piccolo, quando «in una famiglia semplice, non di musicisti – racconta –, ho iniziato a suonare il piano come un giocattolo, a orecchio», per poi diplomarsi in composizione. «Il mio rapporto con la musica è molto personale – spiega –. Ci ho messo tanto a far sentire alle persone il mio mondo più intimo, che ho affidato al piano come un diario dall’età di quattordici anni (pubblicato a marzo 2011, ndr)».
Cristian è un autore molto attivo. «Ho composto per il Festival delle Nazioni di Città di Castello Una piccola vedetta lombarda, un’opera per piccola orchestra, un bambino protagonista e un coro di bambini, dove si rivisita un fatto del Risorgimento, ma con una figura materna al centro della storia». L’opera è piaciuta alle famiglie e si chiude con un Requiem che dona religiosità a un lavoro di «riflessione sul senso vero della libertà cristiana», e non un’opera patriottica.
La fede infatti è un aspetto presente nella vita di Carrara. «Nasce dall’esperienza familiare, e poi da un incontro determinante che mi ha dato pace interiore. Una scintilla che cerco di alimentare. Non è una posizione facile nel mio mondo musicale, dove ci sono molte forme di spiritualità, perché la musica è spirito; più difficile – specie in Italia – una spiritualità che trovi la sua natura nella fede cristiana».
E la bellezza, che ogni artista cerca di esprimere, cosa è per Carrara? «Per me – risponde – ha a che fare col lavoro delle mani, che significa umiltà, da humus, terra. Molta arte oggi non è bella perché non è umile, è povera, non rimanda a un “oltre”. La musica, se nasce e muore nel tempo in cui è nata, non è arte. Se continua e risuona anche dopo, allora è bellezza, perché ti mette dentro un bisogno di alterità».