Ritorno in patria per i profughi siriani?
La presenza massima nel Paese dei cedri di siriani in fuga dalla guerra era stata toccata due anni fa, secondo i dati ufficiali del governo libanese, con circa 1 milione e 200 mila persone (di cui almeno il 20% bambini). Ne sarebbero rimaste all’inizio del 2018 circa 980 mila. Detto così, sembrerebbe che a breve anche la gran parte dei rimanenti tornerà a casa. Questo è probabilmente quello che si auspica il ministro libanese per gli sfollati Moein Merhebi, che ha fornito questi dati in un’intervista al quotidiano panarabo Al Hayat. Pur rappresentando un fatto significativo e probabilmente una tendenza destinata a continuare, questo dato non esprime la complessità della situazione dei profughi sia in Libano che negli altri Paesi mediorientali dove erano fuggiti oltre 5 milioni di siriani fra la primavera del 2011 e la fine del 2016.
La situazione generale all’inizio del 2017 era la seguente: circa 11,8 milioni di siriani avevano abbandonato le proprie case a causa della guerra. Di essi, 6,3 milioni erano sfollati all’interno del Paese e 5,5 milioni si erano rifugiati nei Paesi vicini: principalmente Turchia, Libano, Giordania ed Egitto. Il perché di questo esodo massiccio, forse il più grande dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è intuibile, considerando che i morti a causa della guerra in Siria sono stati oltre 300 mila, in massima parte civili e soprattutto a causa dei bombardamenti, sia quelli aerei delle due coalizioni pro e anti Assad, sia di quelli dei governativi, sia, in misura molto minore, per i missili terra-terra lanciati dai ribelli e dalle milizie dello Stato Islamico, privi di aviazione.
Ma chi sta tornando in Siria dalla Turchia, dal Libano o dalla Giordania è una parte degli sfollati e dei profughi, certamente non dei rifugiati. La differenza è importante: i rifugiati, infatti, sono coloro che chiedono asilo a causa dell’impossibilità di tornare nel loro Paese. Come recita l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra (1951): si considera rifugiato chi è riconosciuto tale da una commissione internazionale che valuta le motivazioni del richiedente asilo, cioè di chi «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».
Quindi correttamente il governo libanese parla di 1,2 milioni di profughi che si sono ridotti a 980.000. Ma questo non significa che questi numeri esauriscano la presenza dei siriani in Libano: mancano alla conta rifugiati e clandestini, senza parlare di altri profughi e rifugiati presenti nel Paese, come i 130-170 mila iracheni o gli oltre 400 mila palestinesi. Restano pertanto in Libano, a vario titolo, almeno 1 milione e 750 mila stranieri, che di fronte alla popolazione del Paese (4,4 milioni) rappresentano più del 28% degli abitanti (in proporzione è come se in Italia ci fossero 23-milioni-23 di profughi!).
Il Libano, va aggiunto, non ha mai accettato di aprire campi profughi ufficiali sotto l’egida dell’Onu nel timore che succeda come per i palestinesi che si trovano nel Paese dei cedri ormai da 70 anni (!?!), in campi profughi super-monitorati e inevitabilmente all’origine di forti tensioni reciproche. I profughi siriani sono quindi tollerati in campi di fortuna e alloggi precari, costretti per vivere a offrirsi sul mercato del lavoro a metà prezzo esentasse, con tutte le pesanti conseguenze che questo ha poi sulla disoccupazione dei libanesi. Va anche detto, ad onor del vero, che il Libano non solo tollera tutto ciò ma, pur nella sua precarietà politica, ha fatto anche notevoli sforzi per venire incontro ai profughi, per esempio accogliendo nelle scuole pubbliche di base 500 mila bambini siriani profughi.
La situazione della Siria postbellica sembra comunque offrire possibilità sempre migliori per favorire il ritorno dei suoi cittadini dell’esilio forzato. Chi ha ancora una casa e dei parenti e la possibilità di farlo tende certamente a tornare. Scommettendo su una ripresa della normalità, sulla ricostruzione del Paese e augurandosi che i pur precari equilibri di potere raggiunti dopo aver ridotto la Siria ad un campo di battaglia non vengano meno.