Il ritorno di Nanni Moretti
Raccontare il passato per guardare all’oggi. È necessario, perché, nonostante tutto, la storia è maestra di vita. Se non altro per chi la vuole ascoltare. Nell’Italietta di scarso profilo culturale di oggi, dove chi sa qualcosa rischia di venire quasi deriso e la storia non la si vuole più studiare, Nanni Moretti, va al solito controcorrente. Narra in Santiago/Italia presentato al Festival di Torino e ora in sala, cosa ha fatto l’Italia nel 1973, quando in Cile il presidente socialista Allende fu defenestrato con la violenza dalla destra militare, aprendo la strada alla dittatura di Pinochet. Moretti non si affida agli specialisti, ma alle vive voci dei superstiti esiliati, di chi si è rifugiato nella nostra ambasciata a Santiago, rischiando la pelle a saltare il muretto davanti ai gendarmi cileni. Accolto – si giunse 600 persone – e poi spedito con un salvacondotto da noi. Diversi, che si considerano cileno-italiani, vivono ancora in Italia, si incontrano ogni anno per ricordare la generosità del Belpaese di allora.
Le interviste sono brevi, forti, anche scioccanti, sincere: c’è chi ricorda il Golpe pur avendo allora solo sette anni, chi è stato torturato e ha saputo perdonare, chi no, chi è rimasto fedele ai sogni giovanili, chi li rimpiange. Moretti intervista anche due militari condannati per tortura, ora in carcere. Nessuno dei due si sente colpevole, uno si ribella e chiede al regista di essere “imparziale”. Moretti è sincero: non lo sarà. La sete di verità è troppo forte ed è ciò che anima il docufilm e lo rende anche commovente. Notevole è il ricordo –tralasciato (volutamente?) dai media – del cardinale di allora Silva Enriquez, «un’alta figura morale che attirava per questo i giovani, contrario alla dittatura», come dice un esule che si dichiara ateo.
Moretti, ovvio, sta dietro a tutto il suo lavoro. Perchè l’ha girato? Solo per un ricordo? Forse la riposta si può trovare nelle parole di una intervistata: «L’Italia di oggi mi ricorda com’era il Cile di allora quando sono scappata». Detto tutto, per chi vuol capire.