Ritorno alle origini o proiezione nel futuro?
A questa domanda lungo la storia si sono date molte risposte. Le riforme spesso hanno avuto il senso di tornare alle origini, lette in maniera fondamentalista, ascetica, mitologica, romantica, devota, o altro. Con il rischio del paleoarcaico, della tensione fra perfetti o primitivi o riformati e mitigati, rilassati, senza qualità, ecc.
Ma lungo la storia ci sono state anche riforme che hanno voluto tentare di “aggiornare” o inculturare lo spirito o le intuizioni delle origini (PC 2b) nei nuovi contesti, rispondendo a nuove sfide e dando forma rinnovata o anche creativa al carisma codificato in una certa epoca e con un certo linguaggio (o formula vitae).
Con questa duplice affermazione avrei già risposto alla domanda postami.
Ma vorrei aggiungere qualche altra cosa.
1. Prima di tutto ogni esperienza fondativa – da cui che ne venga poi una Famiglia religiosa, una Regola, una fisionomia ecclesiale, una istituzione, o altro ancora – nasce da quattro elementi: che possiamo definire quattro pro.
– Provocazione contestuale: che scandalizza, spaventa, sfida, fa convertire, fa reagire, prendere rimedi, proporre iniziative. Sono quelli che Vita consacrata chiama “appelli dello Spirito”, e noi possiamo dire anche “segni dei tempi” (senza enfatizzare!). Molte volte ne abbiamo una conoscenza stereotipa, non dinamica.
– Progetto evangelico: è la reazione ispirata dallo Spirito (spesso solo intima) a rendere qui e ora vivo il Vangelo, in un modo specifico, che risponda alle “provocazioni”, ponendo rimedio, aprendo nuovi orizzonti, riaffermando valori, ecc. È la storia della nascita del carisma, spesso mitica, e mitizzata…
– Processo attuativo: sono i passi concreti con cui il progetto, l’intuizione, la risposta evangelica ha preso forma, ha superato ostacoli, ha conosciuto tappe e cambi, adattamenti e rigidità. Sono le “grandi storie” delle grandi famiglie, ma anche le piccole storie delle famiglie religiose, spesso con aura di “miracolo”.
– Prodotto definitivo: è la realtà raggiunta, nel tempo della maturità; è quello che vediamo: istituzione, forma, persone, santi, e tutto il “patrimonio” (o museo).
2. La Regola esprime una parte di questo complesso cammino dei quattro pro. Per molti essa codifica quello che deve restare eterno, vincolante, obbligatorio, da osservare. E allora diventa un reperto archeologico indigesto e mal sopportato.
Ma per sua natura dovrebbe essere ben altro: dovrebbe essere vista in chiave anzitutto mistagogica e dossologica: quello che Dio ha fatto con noi, noi lo riconosciamo come un percorso di vita che ci ha fatto rivivere il Vangelo, in risposta a delle situazioni, imparando a dare forma alle intenzioni, attraverso un percorso storico concreto.
Quindi la prima lettura da fare è quella di riconoscervi una sapienza di vita, una sintesi dei percorsi che conducono alla vita, e non la lista delle cose da fare o da non fare. Senza questa visione di partenza si incaglia ogni aggiornamento.
3. Ante et retro oculata: la Regola non può essere lasciata come reperto storico, deve essere scavata per scoprire al suo interno il nucleo incandescente di un complesso di esperienze (i quattro pro), in modo da ripercorrere lo stesso itinerario di nuovo, sotto la guida dello Spirito, della situazione storica, della sapienza evangelica, delle possibilità carismatiche a disposizione.
Essa condensa un’arte di discernere e di progettare, di vivere in processo e di realizzare in forma matura: per questo è una Regula in senso evangelico e non giuridico solo.
4. Il suo carattere normativo: è completamente rinnovato negli ultimi decenni. Non è più un testo in cui enumerare divieti e obblighi, permessi e storie passate.
Ma è traditio sapienziale, che chiede di usare la stessa arte di “scavare pozzi” nel contesto che abbiamo a disposizione, con una specificità evangelico/cristocentrica/ ecclesiale collaudata e riconosciuta, accettando una processualità realistica, per conseguire un risultato finale, che sia vivibile, autentico, ecclesiale, attuale, pungente, possibilmente anche profetico.
In questo è norma “carismatica” e non istruzioni per la manutenzione prudente e un narcisismo autocompiaciuto.
5. Fino al XII secolo : non esisteva il concetto di fondatore come l’abbiamo noi, come Padre “generatore” di una famiglia; non esisteva il senso della Regula come codice da osservare in senso stretto, enumerando la gravità dei precetti; non esistevano separazioni rigide fra vita apostolica, cenobitica, eremitica.
Tutto era molto fluido dal punto di vista generale, poi le specifiche “Consuetudines”, o “Statuta” o altro determinavano con più dettaglio. Per questo le Regulae antiche hanno una così grande importanza: perché espressione appunto di sapienza e dossologia, mistagogia e libertà conquistata dal Vangelo. Poi tutto si irrigidì.
E noi oggi siamo vittime di questo impoverimento, abbiamo perso la sapienza che “libera”, a vantaggio di determinazioni da “osservare”, di categorie rigide.
Per concludere. Allora: sì ritorno alle origini, ma nel senso che ho detto, per riscoprire l’inventiva, l’audacia (VC 37) nel rispondere alle sfide, imparare l’arte di scavare ancora. E proiezione nel futuro, per rivivere i quattro pro in maniera nuova e coraggiosa.
In fondo è anche quello che ci aveva suggerito il papa nella VC 87-95, quando ha spostato i grandi temi della vita consacrata verso la natura di “sfide controculturali”, “terapia per l’umanità”.
Ma forse ci siamo distratti e non lo abbiamo capito, perché ascoltarlo e metterlo in pratica esigerebbe una “rivoluzione copernicana”, di cui non siamo capaci. Almeno mi sembra che non lo siamo per ora.