Ritorno al Nucleare?

Le ambiguità e i rischi mai risolti dell’energia nucleare dopo l’apertura al cosiddetto “atomo verde” sulla scia dell’esempio francese. Contributi per un dibattito
Centrale nucleare di Nogent-sur-Seine, a est di Parigi, AP/Bertrand Combaldieu)

Nucleare verde per la transizione ecologica?  In Francia, dove quasi i tre quarti dell’energia elettrica sono di origine nucleare, le centrali sono ben visibili sul territorio. Dalla Borgogna a Bordeaux, nelle valli della Loira, in Linguadoca le si vede spuntare su una collina o lungo il corso di un fiume.

Lo sanno i produttori vinicoli transalpini abituati a lavorare anche fra i vitigni più famosi in paesaggi sciupati da torri di raffreddamento troncoconiche e dai loro inconfondibili pennacchi di vapori bianchi. Questa scomoda vicinanza ha sempre preoccupato il settore agroalimentare francese. Che si tratti di vini, prodotti caseari, ortofrutta o grano, gli agricoltori sono in ansia, oltre che per le intemperie del clima come i loro omologhi nel mondo, anche per incidenti radioattivi che, indipendentemente dalla gravità del danno, metterebbero una pietra tombale sull’intera filiera produttiva nella regione coinvolta. E a volte non c’è neanche bisogno di incidenti.

È esplicativa la vicenda dell’impianto di Tricastin, la cui costruzione fu avviata nel 1974. Giusto l’anno prima era stata creata la denominazione Coteaux du Tricastin per le viti estese dalla valle del Rodano fino alla regione del Drôme dove sorge il borgo di Tricastin, fra la Provenza e le Alpi. Non era una condizione diversa da quella di altri vini pregiati prodotti in territori prossimi a centrali nucleari, ma la corrispondenza esatta dell’appellativo del vitigno con quello della centrale causò in breve un crollo di vendite.

Alcuni produttori celarono il nome del consorzio spostando l’etichetta sul retro, lasciando solo il logo della tenuta. Altri provarono a dimostrare l’innocuità del vino con contatori Geiger, per verificare l’assenza di radioattività. Non si trattava di contaminazione del prodotto, in effetti nulla, ma di degrado della sua immagine, irrecuperabile agli occhi dei consumatori. Molti infine si rivolsero all’Ue per chiedere sussidi e abbandonare l’attività.

Bisogna chiedersi quanto siano a conoscenza di questa e altre simili vicende i propugnatori dell’energia nucleare in Italia – con gli interessi di Eni su tutti – incapaci, sembra, di comprendere che non si può tenere assieme infrastrutture industriali, l’energia nucleare, il paesaggio, il turismo e la produzione agroalimentare di qualità.

Il rilancio dell’atomo “verde” avviene oltretutto mentre la produzione termonucleare francese è semi-paralizzata: 18 reattori nucleari in 12 siti transalpini sono in difficoltà per problemi di sicurezza rilevati dall’Autorità nazionale di controllo. Il problema è la tenuta dell’acciaio degli involucri esterni, i cosiddetti “sarcofaghi” che – dopo decenni d’uso, ben oltre i 40 anni inizialmente previsti – potrebbero non trattenere più il vapore radioattivo in caso di incidente.

La strategia energetica di una nazione deve basarsi su scelte consapevoli e di lungo periodo. Deve essere perciò chiaro che alcune infrastrutture e attività produttive non sono compatibili con altre, come accade a Taranto dove l’inquinamento dell’Ilva comporta il divieto di coltivazioni e pascoli per un raggio di 20 km dall’acciaieria.

L’Italia ha sul proprio territorio decine di Siti di bonifica di interesse nazionale legati a produzioni industriali e impianti dismessi con un lascito di aree contaminate che non sono solo tolte a ogni produzione agroalimentare, ma necessitano di interventi per evitare danni alla popolazione locale, stimata complessivamente in circa 6 milioni di persone. Non possiamo permetterci nuove strutture e mura di contenimento. Chi invece pensa che possiamo farle, dovrebbe specificare se è meglio sistemarle in prossimità di fiumi da deviare per raffreddare gli impianti con acqua sottratta alle comunità e all’agricoltura, o lungo le coste con camuffamenti per non scoraggiare il turismo nei lidi interessati.

Evitiamo qui di parlar dei problemi insoluti di stoccaggio delle scorie radioattive mentre i promotori del nucleare prospettano sviluppi che dovrebbero portare a reattori di IV generazione, capaci di spegnersi in autonomia in caso di imprevisti – ma finora nessuno di questi è mai entrato in funzione – assieme all’impiego di sali fusi per ridurre il consumo d’acqua.

C’è poi il miraggio della fusione, una chimera tecnologica perseguita da decenni senza alcuna prova di realizzabilità. Ma su argomento complesso meriterà tornare con un nuovo contributo al dibattito.

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