Risposte al declino demografico

Modello di famiglia e sistema fiscale francese. Il caso esemplare del Trentino Alto Adige. Intervista al professor Giampiero Dalla Zuanna dell’università di Padova
ANSA

L’inchiesta del numero di marzo di Città Nuova è dedicata alla questione del declino demografico in Italia cercandone le ragioni profonde e la possibilità di un radicale cambio di prospettiva. In tale ricerca abbiamo chiesto il parere di Giampiero Dalla Zuanna professore ordinario di Demografia presso il Dipartimento di scienze statistiche dell’Università degli studi di Padova.

Si può invertire il declino demografico in Italia o solo rallentarlo?
La situazione italiana non è affatto recente ma data dagli anni ottanta. Oggi nascono meno figli perché ci sono meno donne ma la propensione a fare figli era già la stessa. Non hanno inciso in tal senso il colore dei diversi governi e i notevoli cambiamento economici intervenuti (all’epoca non esistevano i cellulari). Siamo di fronte alla strategia adottata dalle famiglie di avere maggiori possibilità di vivere meglio. Una tendenza alla bassa fecondità condivisa con altri Paesi come Giappone, Spagna, Corea del Sud e alcune regioni della Cina. Culture diverse che hanno in comune, tuttavia, il senso di una grande responsabilità verso i figli. Nel Nord Europa esiste una diversa cultura. I figli vanno via di casa a 18 anni e non hanno l’obbligo di assicurare la casa di riposo ai genitori. I beni ereditari sono sottoposti a tassazione, quasi scomparsa da noi. Si dice che c’è la crisi della famiglia, vedendo il numero dei divorzi, ma il rapporto tra genitori e figli non è mai stato forte come adesso. L’80% del lavoro avviene attraverso reti familiari, contro il 40% del Nord Europa e Usa. Le aziende prevalenti sono quelle familiari. Anche le nome sulle pensioni che penalizzano i giovani non sono avvertite come un pericolo perché sono soldi che vanno ai genitori e quindi restano in famiglia. Il reddito degli italiani aumenta del 130% se consideriamo i servizi non monetari prestati gratuitamente internamente alle famiglie.

Il suo collega della Cattolica, Alessandro Rosina, propone il modello del Trentino Aldo Adige…
Rosina fa bene a partire dai casi dove crescono i livelli di fecondità perché sono state adottate politiche concrete. Hanno lavorato sui servizi alle famiglie per non penalizzare la possibilità di lavorare per entrambi i genitori. Senza poter incidere sul sistema fiscale hanno comunque riconosciuto dei contributi dal secondo figlio in poi. In trentino hanno introdotto l’assegno unico per ogni figlio (vero reddito di cittadinanza). Non sono misure contro la povertà, ma misure di perequazione sociale per assicurare ad ognuno che viene messo al mono di avere le stesse opportunità. È facilmente intuitivo che chi ha già due fratelli è penalizzato dal punto di vista economico. Se non interveniamo fiscalmente produciamo una diseguaglianza. A livello operativo è poi importante  la scelta delle due provincie di aver promosso un coordinamento, tramite un dipartimento specifico, tra tutti i soggetti che hanno a che fare con la famiglia (dagli acquisti nei negozi all’accesso ai servizi e alle tariffe) nella convinzione che ogni figlio  non è un fatto privato ma un bene pubblico.  Brutalmente parlando si calcola che portare un figlio alla laurea costa100 mila euro, cifra che teoricamente resta in famiglia per ogni nascita in meno. Senza interventi di perequazione sociale arriviamo al paradosso che “troppa famiglia” (da mantenere secondo certi standard)  vuole dire “fare pochi figli”.

Ma tale modello non è un caso difficile da riprodurre nel sistema Paese?
Politiche fiscali a favore delle famiglie con figli sono state adottate anche in Russia e Ungheria, per motivi nazionalistici, e hanno funzionato.  La Francia poi è un caso eclatante. Le politiche fiscali a favore della famiglia nascono nel 1870  dopo la resa della battaglia di Sedan per motivi anche qui nazionalistici ( nasceva un francese ogni due tedeschi). Il sistema del quoziente familiare viene introdotto nel secondo dopoguerra perché rientra in questa mentalità.  Una famiglia con 4 figli percepisce il doppio dello stipendio di un medesimo nucleo familiare italiano. Alla donna incinta arriva a casa un dossier con tutte le informazioni sui diritti che può esercitare. È la presa in cura di un bene pubblico. Il che comporta far pagare meno tasse alle coppie con figli e di più a quelle senza prole. Una conseguenza non accettata in Italia, dove prevale un diverso senso comune che vede il figlio come un bene privato, altrimenti non si spiega l’impossibilità a introdurre interventi perequativi nel nostro Paese, a prescindere dalla modalità concreta (dal fattore famiglia all’assegno unico per il figlio che ritengo la soluzione migliore).

Si dice che siano interventi troppo costosi…
Non c’è volontà politica. Nella scorsa legislatura la proposta dell’assegno unico comportava una spesa di 6 miliardi di euro, ma si è preferito investire 10 miliardi sugli 80 euro. Ora si preferisce il cosiddetto reddito di cittadinanza o il prepensionamento chiamato quota 100.

(Fine prima parte)

Inchiesta integrale sul numero di marzo 2019 di Città Nuova

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