Rispondere con la mitezza a violenze e minacce
Religioni e conflitti, religioni e ambiente, religioni e salvezza, religioni e fondamentalismi. La lunga conversazione di papa Francesco coi giornalisti durante il volo tra Colombo e Manila ha toccato molti punti, ma si è concentrato soprattutto su quanto riguarda la religione e la libertà di espressione, protagoniste indiscusse di questa parte della nostra storia e, quindi, anche di questo lungo colloquio che ha toccato molte sfaccettature del fatto religioso oggi.
Ovviamente il nocciolo della questione è stato il legame fra religione e violenza. Gli avvenimenti degli ultimi giorni in Europa e la visita ad un Paese, come lo Sri Lanka, che sta uscendo da più di trent’anni di conflitto di carattere etnico, ma con risvolti nell’ambito religioso, non poteva lasciare indifferenti né i giornalisti né l’illustre intervistato. Attendiamo di leggere in un futuro non troppo lontano l’enciclica sulla salvaguardia dell’ambiente, già annunciata, e di cui ieri Francesco non ha temuto di descrivere l’iter preparatorio, di fatto ringraziando i suoi collaboratori per l’impegno a contribuire alla sua stesura. Dedichiamoci, qui, alla questione religione e violenza, dialogo e pace: argomenti che toccano ormai il mondo ad ogni latitudine, senza eccezioni di popoli, etnie e fedi.
La grande paura di oggi è, ormai, quella legata all’integralismo e al fondamentalismo, che, purtroppo nell’immaginario collettivo, soprattutto, dopo gli accadimenti degli ultimi giorni, si identifica sempre più e quasi esclusivamente con l’Islam. Ignazio Ingrao di Panorama ha voluto sapere da papa Francesco qual sia il miglior modo per rispondere alle minacce degli integralisti islamici. E la risposta è stata immediata: «Sempre, per me, il miglior modo di rispondere è la mitezza. Essere mite, umile – come il pane – senza fare aggressione». Risposta controcorrente di un uomo veramente di pace, che ha saputo rispondere non solo alla paventata violenza delle armi, ma anche a quella della parola e dei media.
«Quando ero bambino – in quel tempo, 70 anni fa – tutti i protestanti andavano all’inferno, tutti. Così ci dicevano. E ricordo la prima esperienza che ho avuto di ecumenismo. […] Io avevo quattro o cinque anni – ma lo ricordo, lo vedo ancora – e andavo per la strada con mia nonna, mi teneva per mano. Sull’altro marciapiede venivano due donne dell’Esercito della Salvezza […]. Io ho chiesto a mia nonna: “Dimmi nonna, quelle sono suore?”. E lei m’ha detto questo: “No, sono protestanti, ma sono buone”. La prima volta che io ho sentito parlare bene di una persona di altra religione, di un protestante. In quel tempo, nella catechesi, ci dicevano che tutti andavano all’inferno».
Un ricordo di infanzia che sintetizza appunto un atteggiamento durato secoli, ma che oggi sembra ormai lontano. «Credo che la Chiesa sia cresciuta tanto nella coscienza del rispetto […], nei valori». Non è possibile non tornare al Concilio e a quella inversione di rotta che papa Francesco ha voluto sottolineare con una parola: rispetto. Il papa non ha fatto sconti al passato agli atteggiamenti cristiani e cattolici, riconoscendo che «ci sono tempi oscuri nella storia della Chiesa». «Dobbiamo dirlo, senza vergogna – ha insistito Bergoglio – perché anche noi siamo in una strada di conversione continua».
Ed è bene sottolineare che a differenza di altri contesti, soprattutto teologici o accademici, quelle di Bergoglio non sono state parole. Il papa accompagna il pensiero suo e della Chiesa d’inizio XXI secolo con atti precisi. Nell’ultimo giornata della sua a Colombo, infatti, ha visitato un tempio buddhista ed ha tenuto a raccontare lui stesso i dettagli che lo hanno spinto a farlo. Come avevamo spiegato anche in un articolo precedente pubblicato su Città Nuova nei giorni scorsi, il santuario di Madhu è meta di tutti i fedeli dello Sri Lanka, a qualsiasi religione appartengano.
Papa Francesco ha notato questo aspetto inimmaginabile in Europa e, invece, così comune in Asia. Lo ha raccontato come una profonda esperienza di vita. «Ieri, a Madhu, ho visto una cosa che mai avrei pensato: non erano tutti cattolici, neppure la maggioranza! C’erano buddisti, islamici, induisti, e tutti vanno lì a pregare; vanno e dicono che ricevono grazie! C’è nel popolo – e il popolo mai sbaglia –, c’è lì il senso del popolo, c’è qualcosa che li unisce. E se loro sono così tanto naturalmente uniti da andare insieme a pregare in un tempio – che è cristiano ma non è solo cristiano, perché tutti lo vogliono – perché io non dovrei andare al tempio buddista a salutarli?».
Reciprocità, dunque, un’altra parola del dizionario interreligioso di Francesco, capace di cogliere “il senso della interreligiosità che si vive nello Sri Lanka”. Rispetto reciproco è quello che lui ha mostrato visitando un luogo sacro a Buddha dopo essere stato fra decine di migliaia di persone in un luogo sacro a Colei che i Cristiani, e non solo, venerano come la madre di Gesù. Il tutto senza alcun tipo di confusione, con identità assai precise. Un papa, quindi, che coglie l’anima del popolo, o meglio, dei popoli e delle diverse tradizioni religiose, che dimostra coi fatti di credere che ogni uomo, se fedele alla propria coscienza, può essere salvo. Soprattutto, Francesco sa proporre segni di dialogo a chiunque incontra. Inoltre con la semplice storia della nonna – spesso protagonista della sua teologia popolare a cui tutti riescono a riferirsi – ha anche dato un supporto teologico ai suoi atteggiamenti ed aperture che dimostrano quanto sia vera la convinzione che il dialogo “rispettandosi sempre, è una grazia”.