Risorse per una politica del lavoro

Si possono fare le riforme a favore dell’occupazione in tempi di stretta creditizia e di fiscal compact? Il Movimento politico per l'unità promuove oggi 21 gennaio a Roma un laboratorio per frenare la speculazione e far ripartire l’economia reale
Banca centrale europea - Francoforte

In maniera informale il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, ha lanciato dal suo sito web il brogliaccio del pacchetto di misure necessarie, secondo il suo gruppo di esperti, per sostenere e rilanciare l’occupazione in Italia.

A prescindere dalle singole azioni proposte, che saranno al centro del dibattito politico, il piano per il lavoro, definito col termine inglese Jobs act, comporta una seria ridefinizione della spesa pubblica che ha stretti margini di manovra in tempi di austerità. Ma come far riavviare la macchina senza benzina? Dove si possono trovare le risorse per la ripresa?

Con riferimento al mondo bancario una gelata è arrivata dal Centro studi di Confindustria (CsC) che, con la nota dell’11 gennaio del 2014, ha confermato «la caduta dei prestiti bancari alle imprese» per circa il «10,5 per cento dal picco del settembre 2011, pari a meno 96 miliardi di euro».

Qualsiasi proposta, quindi, intesa a risolvere il problema occupazionale rischia di rivelarsi un esercizio retorico se non si pone l’obiettivo di attivare una leva finanziaria adeguata a invertire la rotta. A partire da questa consapevolezza, il Mppu (Movimento politico per l’unità), con il presidente Silvio Minnetti, ha promosso, in collaborazione con Città Nuova e con il contributo scientifico dell’economista Leonardo Becchetti, un laboratorio aperto su finanza e lavoro tra parlamentari ed esponenti dell’impegno civile, che si svolgerà a Roma il 21 dicembre presso la sede di Roma Capitale (via delle Vergini 18), a partire dalle ore 19.

Cosa sono le banche?
Il nodo resta la crisi strutturale dell’economia occidentale che ha mostrato un sistema bancario in gran parte succube della speculazione e incapace di sostenere l’economia reale. È ormai diffusa, perciò (dal rapporto Liikanen, redatto per la Commissione Europea, alla recente approvazione della Volcker Rule negli Usa), la convinzione di tornare alla separazione netta tra banche commerciali e banche di investimento. Allo stesso tempo, vanno ridotte le eccessive dimensioni raggiunte da alcuni conglomerati bancari, non più controllabili, che rappresentano un costante pericolo per il destino dell’economia mondiale. Ma è davvero possibile riformare la finanza globale? E in che modo metterla al servizio dell’economia reale? Da queste domande il laboratorio pone in evidenza alcuni tematiche specifiche secondo il criterio di entrare nel dettaglio delle questioni emergenti, senza volersi fermare alle affermazioni di principio.  

La camicia di forza dell’economia
Uno dei punti riguarda il fiscal compact (patto di bilancio che imporrà in Italia, per 20 anni, la riduzione del debito pubblico di 45 miliardi di euro all’anno, ndr.) definito «una camicia di forza che ci impone uno sforzo di risanamento difficilissimo che diventa quasi impossibile con politiche monetarie e fiscali Ue non espansive che aumentano il rischio di deflazione». L’intenzione è quindi quella di individuare, in vista del semestre italiano di presidenza (luglio 2014), quelle politiche fiscali e monetarie a livello comunitario che siano in grado di agevolare il riequilibrio dei Paesi del Sud Europa.

Ovviamente uno dei temi da definire resta la funzione della Banca centrale europea (Bce). Come osserva il professor Becchetti, «negli Usa la Fed mette al centro la riduzione della disoccupazione e ha ottenuto risultati lusinghieri sia in termini di Pil che di incremento dei livelli occupazionali. Perché la Ue non intasca il “dividendo monetario” della globalizzazione? Ovvero la possibilità di lanciare politiche di quantitative easing (creazione di moneta da parte della banca centrale, ndr) che non hanno effetti sull'inflazione, ma stimolano la domanda interna?».

Sempre dagli Stati Uniti è arrivata la notizia dell’approvazione di una nuova normativa (la Volcker Rule) che ha imposto dei limiti all’attività speculativa delle banche di deposito. Le normali banche, cioè, non potranno investire più del tre per cento dei propri capitali in transazioni in Borsa, investimenti in derivati e partecipazioni in hedge fund. Nella Ue è stato fatto un passo avanti con la vigilanza unica europea, ma resta una domanda inevasa che il forum vuole evidenziare: «Come si può chiedere ai depositanti di pagare per le crisi bancarie se le banche possono usare i loro soldi per fare trading in proprio?».  

Esiste una legge?
In Italia si è reso evidente, inoltre, il peso delle lobby del trading online che ostacolano l’applicazione efficace della Tobin Tax sulla tassazione delle transazioni finanziarie, come si è dimostrato con l’affossamento dell’emendamento Bobba – Marcon in Parlamento. Cosa impedisce ai deputati e senatori italiani, si chiede il laboratorio, di frenare quell’attività di trading ad alta frequenza che mette a rischio i patrimoni di famiglie, imprese, territori e Paesi?  

Sempre per rispondere al sopravvento della finanza sull’economia reale, il laboratorio promosso dall'Mppu intende affrontare il contenuto della proposta di legge popolare, presentata il 5 dicembre 2013 dalla Fiba Cisl, che intende imporre un tetto alle remunerazioni del “top manager” delle imprese private e del mondo della finanza in particolare. Tali emolumenti spropositati, paradossalmente in un tempo di stretta creditizia, si sono rivelati tali da incoraggiare l’assunzione di rischi eccessivi a danno delle Società di capitali, come casi eclatanti stanno a dimostrare. Cosa ostacola, di fatto, l’adozione di tale normativa in Italia? Quali procedure si possono adottare per far arrivare in aula la discussione della proposta di legge popolare?

C’è, infine, una voce che magicamente entra sempre nei desiderata delle varie proposte di riforma sociale e cioè l’utilizzo dei proventi della lotta contro evasione ed elusione fiscale. Secondo le stime più accreditate arriviamo a stratosferiche cifre in euro: un trilione (mille miliardi) all’Ue e 180 miliardi in Italia. Risorse destinate a restare a livello ipotetico anche se, a cominciare dall’evasione delle grandi imprese (60 miliardi di euro secondo stime affidabili), esistono una serie di misure che potrebbero essere messe in cantiere per testarne l’efficacia, a cominciare dallo scambio di informazioni tra autorità fiscali e dall’adozione dei criteri minimi di trasparenza fiscale come soglia per partecipare agli appalti. Potrebbe essere, anche questo, un impegno da assumersi per l’Italia nel semestre Ue di presidenza che partirà dal prossimo primo luglio.

Domande e proposte non retoriche che nascono dall’esercizio della fiducia reciproca di chi accetta di mettersi in gioco per un bene possibile. Senza delega in bianco. Un percorso esigente che Città Nuova aiuterà a seguire e ad approfondire.

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