Risentire Tosca
A dire il vero, un pregiudizio su Tosca ce l’hanno molti – fin dal suo nascere proprio a Roma nel 1900 – e ancora. Fra loro, c’ero anch’io.
Tratta dal dramma sanguinolento di Sardou, la storia della cantante Floria Tosca, amante sensuale del pittore Cavaradossi,assassina del mostro pontificio Scarpia per amore, suicida da Castel sant’Angelo, avrebbe tutto da riproporsi come modello di vicenda di una femme fatale istintiva: non certo di un erotismo algido come le contemporanee donne di Richard Strauss o della pittura di Klimt, quanto di un erotismo molto mediterraneo e “cattolico”, sospeso tra preghiere alla Vergine e carnalità desiderate. Insomma, amore e morte, ma senza redenzione e con un personaggio diabolico come Scarpia, stupratore seriale e bigotto.
Roba superata, si direbbe. E poi la musica che miscela sacro – la chiesa, le campane, il Te Deum – e profano, le romanze furbette e non troppo ispirate ma assai orecchiabili (“E lucean le stelle”, “Vissi d’arte”), la voglia del successo inseguito da Puccini, l’orchestra massiccia con i soliti leit-motiv wagneriani: quanti difetti nell’opera, popolarissima, però scaltra, anche politicamente (inni alla libertà contro il regime papalino nella Roma anni 1900 anticlericali). Volete mettere al confronto l’arte vera di Manon Lescaut e Bohème? Così si diceva,e si dice,e si pensava.
Solo che quando una orchestra è diretta con misura e calore da uno come Paolo Arrivabeni – che conosce il repertorio come pochi ormai, è sincero ed esperto senza pose da divo mediatico – ed estrae delizie e sfumature nel preludio del terz’atto, clangori giusti negli ottoni, velluti negli archi in un partitura dove ogni nota dice un passaggio psicologico, l’idea su Tosca cambia: Puccini è grande anche qui, ma non ce ne siamo ancora tutti accorti.
Tosca riemerge dalla consuetudine e dalle romanze arcinote come dramma potente, di lontano istinto verdiano, come forse l’ultimo lavoro operistico sicuramente per tutti e non per i soli intellettuali. Certo, è assente la moralità verdiana: altra atmosfera anche attuale, gusto del torbido, del sangue,analisi rapida ma non superficiale del male, impersonato da Scarpia. La morte, unica via di scampo?.
Un soprano come Saloa Hernàndes, già Odabella nell’Attila verdiano alla Scala, è capace di una rilettura di Tosca giusta, non eccessiva né caricata: voce forte e bella, virtuosa capace di acuti stringenti e di delicatezze, attrice che dà il meglio nella scena dell’assassinio in modo essenziale, svela il personaggio come solo una interprete dotata di intelligenza e senso musicale sa dare. E’ la Tosca mediterranea e fragile che ne fuoriesce.
Il Cavaradossi di Vittorio Grigolo gioca sul pedale del “forte” quasi sempre, puntando all’acuto e all’effetto (bis ottenutodal pubblico) fin troppo comunicativo e alla capacità attoriale, ma il suo personaggio rimane in superficie e in effetti tradizionale, nonostante la voce in partenza sia bella e fresca.
Grande lo Scarpia di Roberto Frontali,che ricorda Tito Gobbi in certe movenze,ma sempre sobrio anche nella difficile scena di personaggio amorale con Tosca: voce e orchestra si muovono con assonanza facendo rilevare la padronanza drammatica di Puccini. Coro felice, scene e costumi dell’edizione 1900 riproposte con gusto non museale ma rievocativo, aderente al clima pucciniano.
Cosa dire dunque di Tosca, un capolavoro?. Certo Puccini esprime la sensibilità di un’epoca di passaggio, borghese in effetti, e l o dice con una modernissima fantasia orchestrale che evidenzia sottintesi psicologici nascosti troppo spesso da esibizioni canore “gridate”.
A Roma questa volta si è vista la specifica bellezza di un dramma potente e rapido, intrigante e amaro, malinconico soprattutto.Tosca alla fine è un piccolo-grande poema sulle illusioni di felicità: la tristezza del tempo che fugge, dei desideri incompiuti, del male inesorabile, della morte. Chi ce ne libererà?. La musica, forse pensa Puccini. Ed ‘ piaciuta in un teatro strapieno,con i giovani che commentavano intelligentemente l’esecuzione.
Una edizione da riproporre.