Riscoprire la politica della strada
Nel dibattito sulla presenza dei cattolici in politica si tende a volare alto, sul piano delle idee e dei valori “irrinunciabili”, vorrei invece partire dal basso e dall’esperienza su un piccolo territorio. Ho sempre visto l’impegno in politica, praticato per circa 12 anni, come un dovere civico. Ognuno di noi, per un tempo limitato della propria vita, dovrebbe a mio parere prendersi cura del proprio territorio e della propria comunità. A maggior ragione un cristiano, che ha in questo modo un’occasione concreta di servizio e di aiuto a chi gli è vicino.
L’esperienza che posso portare è quella dell’impegno in una piccola comunità, 8.500 anime in provincia di Massa-Carrara, Toscana, dove ho fatto opposizione in una lista civica e poi come segretario comunale del PDL, partito di centro destra, sino al 2012.
La politica “di strada”, a me piace definirla così, ha le sue peculiarità: se la vuoi fare bene, il problema di ciascuno diventa un tuo problema. La signora che ha le radici dell’albero che deformano il marciapiede davanti casa, il gruppo di famiglie che vorrebbe un punto luce, il genitore preoccupato che ti parla del figlio senza lavoro, cose che alle persone indaffarate o agli intellettuali scivolano addosso. Per te che hai scelto un impegno diventano importanti, puoi essere una speranza per quelle persone, e se lavori bene puoi aspirare al loro consenso.
È un mondo strano, dove il segretario di partito a volte valuta che il fruttivendolo o l’ambulante del mercato prende il doppio o il triplo dei voti di un docente universitario, preparatissimo sui massimi sistemi, ma un po’ impacciato a servire le frittelle alla sagra di paese.
È una ingiustizia? Non credo, penso piuttosto che per avere consenso servano diverse abilità, e la preparazione su temi specifici è solo una parte del lavoro. In fondo, i tecnici ci sono già, lavorano per il Comune o per l’Ente, il politico fa delle scelte sulle ipotesi tecniche a disposizione. Certo, non mancano stress, difficoltà e vere e proprie ingiustizie, come in tutti i settori della vita, e a volte gli ostacoli sono all’interno del gruppo o partito che hai scelto, ma questo fa parte del gioco: sono le sfide difficili quelle che danno più soddisfazione.
Quale contributo può dare il cattolico in questo mondo? Sicuramente portare un atteggiamento di apertura all’altro, che prima è un fratello e poi un cittadino o un avversario politico, che non vuol dire essere deboli o accondiscendenti verso le ingiustizie, anzi l’opposto. Mi è capitato, ad esempio, di sporgere una denuncia alla Procura della Corte dei Conti su alcune vicende che mi erano state segnalate, e di scegliere di andarlo a comunicare di persona ai principali esponenti della maggioranza, specificando che non avevo nulla di personale con loro, ma avevo ritenuto di adempiere ad un dovere come opposizione. Chiaramente la cosa non ha fatto piacere, ma i rapporti non si sono rotti, ed anzi nei mesi successivi abbiamo avuto a disposizione delle sale per incontri nelle frazioni in precedenza negate con motivi pretestuosi.
In altra occasione, la maggioranza di centrosinistra aveva avuto l’opportunità di gestire un progetto direttamente con il Ministero dei Beni Culturali, che era presieduto da un esponente del mio partito. Per il partito locale non essere informati né interpellati fu una specie di tradimento, e l’atteggiamento non era del tutto immotivato, perché verso chi si espone come minoranza nella nostra zona non sono rari gli episodi di pressione psicologica più o meno esplicita, quindi il clima non è proprio dei più sereni.
Ricordo di aver preso posizione a favore del progetto, se comunque portava beneficio al territorio, al di là degli interessi di partito e di aver messo ai voti la decisione: di misura è passata la linea favorevole, diversamente mi sarei adeguato al voto perché anche la disciplina interna ha un suo valore.
Immagino che per i cattolici oggi ci possaò essere titubanza ad impegnarsi perché in ogni partito ci sono aspetti che mettono alla prova la nostra sensibilità, e forse c’è qualche nostalgia di un partito unico. Personalmente, credo che la perfezione non sia di questo mondo e che la presenza cattolica vada garantita in ogni partito e schieramento dell’arco costituzionale.
Proprio nel momento in cui praticamente tutti i leader si dichiarano cattolici: dal premier Conte a Renzi, da Salvini a Di Maio, da Berlusconi alla Meloni, si ha l’impressione che i cattolici da anni non dicano nulla di significativo nel panorama italiano. E queste dichiarazioni provocano accese critiche e accuse di opportunismo che personalmente non condivido, penso che nessuno ritenga i cattolici così stupidi da votare una persona solo perché dichiara il proprio credo.
Forse più che fare gli esami e discutere su chi merita la “patente” di cattolico, come singolo esponente o come partito, dovremmo sporcarci di più le mani e portare il nostro metodo di lavoro, quello della fraternità, in tutti i gruppi, valorizzando i semi positivi che ci sono.
Non credo al pensiero unico dei cattolici, ma questo non vuol dire relativismo assoluto. Credo che la pluralità di posizioni, sempre confrontate nella libertà del singolo col magistero della Chiesa, con movimenti e associazioni, con gli elettori, sia una ricchezza da donare alla società italiana.